martedì 25 settembre 2007

Intervista a Claudia Codega e Esteban Moreno

Danzare la sonorità di Buenos Aires

Claudia Codega e Esteban Moreno si conoscono e ballano insieme dal 1990. Hanno studiato a Buenos Aires con i migliori maestri (Antonio Todaro, Pepito Avellaneda, Mingo Pugliese) e fanno parte di una generazione di ballerini che ha accompagnato, insieme ad alcuni milongueros più anziani, la rinascita del tango argentino a Buenos Aires. Hanno creato in Francia, a Lione, la compagnia di ballo Union Tanguera, con la quale hanno presentato, il 12 gennaio scorso, il loro ultimo spettacolo: Efecto Tango. Lavorano regolarmente in Europa, partecipando a diversi spettacoli e festival.

Come si arriva a un lavoro tecnicamente così preciso ed esteticamente così intenso come l’esibizione che avete presentato sabato sera – mi riferisco in particolare al primo tango che avete danzato, Buenos Aires Hora Cero di Piazzolla?

Esteban: Claudia ed io balliamo insieme ormai da 15 anni; anche se io avevo cominciato a ballare poco prima di lei si può dire che la nostra esperienza tanguera è cresciuta insieme. Quando abbiamo cominciato poche persone della nostra generazione ballavano tango, si imparava dai milongueri anziani, che avevano alle spalle anni di esperienza di ballo in milonga, ma che non erano certo specializzati nell’insegnamento. Dunque il nostro percorso è cominciato con la volontà di capire questo immenso e profondissimo ballo, ma anche con la difficoltà di risolvere i problemi tecnici, di affinare l’ascolto, di curare gli aspetti estetici senza che ci venisse spiegato un metodo. Il primo grosso lavoro non è stato quello di creare un nostro stile, esigenza nata più avanti, ma piuttosto capire quello che si guardava e fare un lavoro di traduzione del linguaggio che si dipanava sotto i nostri occhi, per capirne meglio il movimento. Poi abbiamo cominciato a fare spettacoli e a viaggiare, così la nostra ricerca si è sviluppata su tre piani diversi: il primo, la ricerca di un nostro stile per la milonga, per il nostro ballo; il secondo, la ricerca sul tipo di spettacoli da presentare; il terzo, l’insegnamento. L’esperienza dell’insegnamento ha forzato la nostra ricerca, sia in senso positivo che in senso negativo. Siamo stati costretti a capire cosa di quel che avevamo imparato serviva anche agli altri e cosa apparteneva a noi soltanto; poi lavorare in Europa, dove la gente, almeno fino a qualche anno fa, aveva meno familiarità col tango che in Argentina, ci ha posto di fronte a domande più precise e più variegate. Così abbiamo dovuto portare avanti la ricerca di una “pedagogia” del tango. Tutto questo lavoro è durato molto tempo: eravamo coscienti del fatto che mancasse un’intera generazione di ballerini, in Argentina, e dunque sapevamo di dover raccogliere l’eredità dei milongueri anziani, di doverci guadagnare il loro rispetto, ma per portare avanti la parte migliore del loro stile.

Dunque un lavoro di scelta…

Esteban: Sì, di scelta e selezione, anche per quanto riguarda il lavoro coreografico. All’inizio, infatti, avevamo la tendenza a riprodurre le forme che ci venivano proposte e che conoscevamo, poi viaggiando, confrontandoci con altri luoghi, con altre discipline e soprattutto con i colleghi che hanno fatto i percorsi più diversi e che sono andati anche molto lontano nelle loro ricerche, sono nati spettacoli con un altro stile. Noi, però, siamo solo una piccolissima parte del tango, un ballo che cresce e si evolve a una velocità sempre maggiore. Nessuno è importante per il tango: va avanti comunque, sia da un punto di vista musicale che coreografico. Questo è il contesto della nostra ricerca: ballare bene e proporre un bel tango; non ci interessa introdurre forzatamente elementi nuovi, a meno che non siano richiesti dalla musica, o dal tipo di spettacolo. Certo, quando si fa coreografia si cerca di liberare la fantasia e di raccontare qualcosa, ma non è fondamentale che venga capito.

Come nasce la coreografia che avete presentato sabato sera sulla musica di Piazzolla?

Esteban: Buenos Aires Hora Cero è un brano che amiamo da tempo. Volevamo fare un tango con una sonorità più contemporanea, che ci permettesse di fare un passaggio dal tango salon ad un tango più moderno, senza però esagerare nell’introdurre elementi nuovi o troppo fantasiosi. Abbiamo lavorato più sulla ricerca di movimento che sulla modernità dell’immagine da presentare, e moltissimo sull’ascolto della musica. Di questo brano avevamo più versioni, ma abbiamo scelto quella registrata dal vivo durante uno degli ultimi concerti di Piazzolla, perché ci sembrava la più strana, la più dissonante, quella in cui s’impone la fantasia e l’energia dei musicisti che improvvisano. È uno dei brani più rappresentativi della produzione di Piazzolla: secondo lui la sonorità di Buenos Aires è quella che si può cogliere nella prima ora della notte, che è anche la prima ora del nuovo giorno. L’“ora zero” è l’ora della sonorità di Buenos Aires. Non è un semplice notturno, né è quel mistero teso che si sente spesso nel tango, è piuttosto un notturno che coincide con l’inizio di un nuovo giorno, un notturno che lascia presentire un’alba. Prima abbiamo cercato di capire, con l’ascolto, i colori e la ritmica della musica e poi di esprimerli attraverso il movimento.

Claudia: Nella coreografia non c’è niente di moderno. La nostra intenzione non era di creare qualcosa di nuovo. Il lavoro è nato dal fatto che un’orchestra francese ci aveva richiesto di coreografare due brani di Piazzolla, senza indicare quali, così noi abbiamo cominciato a selezionare la musica e a provare. Poi quel lavoro non si è concluso, ma sono rimasti gli spunti per creare la coreografia su Buenos Aires Hora Cero, uno dei brani che avevamo scelto e che preferivamo. A me quel brano suggeriva un’immagine, ho seguito quella sensazione: essere a casa, a Buenos Aires, d’estate, quando la città è vuota, quando tutto sembra fermo e improvvisamente dalla finestra aperta sopraggiunge qualcosa di nuovo… All’inizio non riuscivamo a trovare quel che la musica sembrava chiederci. Le risposte che abbiamo trovato sono nate dall’ascolto e dall’interpretazione della musica. Non abbiamo inteso creare uno stile nuovo, con questa coreografia. È stato un lavoro per noi, un capriccio.

a cura di Daria Dibitonto
dal sito del Teatro Stabile di Torino

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