sabato 27 febbraio 2010

Il Nuovo Tango - El Nuevo Tango

Il Nuovo Tango
(articolo di Leopoldo Marechal, tratto dal sito web http://www.psicotango.com.ar/libros.htm)

Non potendo esser concorde con la realtà che vive oggi il paese, sto solo ed immobile: sono un argentino che spera. Questo per quanto riguarda il paese. Quanto a me stesso, la cosa è diversa: se approdando a questa terra i miei nonni hanno tagliato il filo con le loro tradizioni e distrutto la loro tabella di valori, a me tocca riannodare quel filo e ricostruirmi secondo i valori della mia razza. Procedo in quel senso. E credo di poter affermare che, quando tutti faranno lo stesso, il paese avrà una dimensione spirituale. (Adán Buenosayres)

"Io penso,
con P. Saint-Yves che,
quando i popoli avranno capito
gli insegnamenti del folklore,
solo allora si aprirà l’era della
pace autentica per l’umanità."
(Alfredo Poviña)


E’ curioso osservare come va manifestandosi il boom tanguero nell’attualità, non solo nel paese, con la crisi, bensì nel mondo intero, ergo, con la crisi. Tale evento non può sfuggire alla nostra attenzione, come società abbiamo il dovere di soffermarci su questo punto. Il tema è poter trarre vantaggio da questo, nel senso migliore, e circoscrivere quell'improvvisazione che tanto spesso ci ha salvato ma che altrettanto spesso ci ha affondato. L’ostacolo che ci affligge in ciò che riguarda la sistematizzazione di un programma serio deve essere rimosso nell’immediato per potere iniziare ad essere credibili. Tanto i campionati quanto le riunioni internazionali che vengono organizzate a livello di ballo nel paese, ad oggi, lasciano molto a desiderare. Nel contempo balza all’occhio un segno di peggioramento e di mancanza di ottimizzazione sia dei luoghi meravigliosi, che la città possiede per organizzare feste pubbliche, sia dei programmi di turismo paralleli a quel che è specificamente tanguero (occorre tener conto che, in prossimo futuro, questo si moltiplicherà). E’ chiaro che si tratta di un fenomeno che comincia appena a delinearsi, cioè, di una prova tangibile che comincia gradualmente ad irrobustirsi con intensità, ma su presupposti ormai caduchi per le generazioni ed i tempi prossimi.
Il Tango-Danza nella sua vitalità
Potremmo dire che, all’inizio, era il ballo di arrabal (sobborgo) e le payadas, che, a suo tempo, era la lirica di Gardel e Le Pera, in un secondo tempo, la musica delle grandi orchestre del ‘40, più tardi, i cantanti, poi, Piazzolla, fino ad oggi, momento in cui si sta verificando un ritorno alla Danza. Cosa interessante dal punto di vista evolutivo e dialettico. Vengono “scodellate” decine di milongas per notte e luoghi per imparare a ballare; ogni giorno sono sempre più numerosi gli studi di danza che aprono i battenti e maggiore è l'allenamento che i ballerini sollecitano per le loro esibizioni richieste nel paese e all’estero. C'è un boom attraente riguardante l’interesse dei giovani rispetto a ciò, non solo dei giovani argentini, bensì di tutto il mondo: il suo impatto, tra l’altro, viene a riaffermare quell’"europeismo" del "voler essere" che segna l'impronta, nel contempo, dell’immagine personale.
Il salto generazionale ci viene indicato come fondamentale perché la rinascita si sviluppi con una tale vitalità. Sebbene, nel suo insieme, un’apertura che lascia un "buco" non serve mai da condotto per recuperare le forze perse. C’è un vecchio adagio cinese che dice che “occorrono tre generazioni per ottenere "la buona porcellana" fine”. Possiamo usare anche la metafora fornitaci dal ballerino e ricercatore Rodolfo Dinzel, in cui ci spiega che il tango è come un mostro gigante a tre zampe, da conoscere: la danza, la musica e la poesia (lirica), per cui è indispensabile che ne muova una alla volta, perché se le muovesse tutt’e tre contemporaneamente, cadrebbe. Ciononostante, è ormai risaputo un certo cambiamento nella struttura musicale mentre giungono alla ribalta nuove orchestre di persone giovani non senza richiamare l'attenzione.
Concordiamo sul fatto che il Tango-Danza sia il nuovo leader della nostra cultura. È il fenomeno che attualmente sta esprimendo in anteprima gli elementi che compongono il “miracolo” del tango. Il boom che potremmo misurare quantitativamente in quantità di ballerini, milongas e campionati negli ultimi anni, è stato notevole. Sono sempre di più le persone che si avvicinano ai "templi" tangueri, quali gli spettacoli di ballo che vengono offerti al resto del mondo. Tutti vogliono ballare e ne avvertono la necessità attraverso la richiesta del loro corpo. La indica in modo chiaro la “zeitgeist” (tendenza culturale predominante, o spirito del tempo) attuale. È la rivincita dello spirito che si scatena per raccogliere adepti, la sua insistenza riporta il contrappunto attuale, lo stato dell'anima chiede d’esser riconosciuto. La unione tra corpo e spirito promossa dalla danza, nella sua forma mandalica, fa sì che quella richiesta sia ineludibile.
La cornice che si dà del ballo del tango, nella Città di Buenos Aires, è di un ambito ampio e in crescita. Le persone provenienti da altri paesi trovano nella città un luogo unico al mondo per esercitarsi in questo ballo ed impregnarsi di cultura di tristezza e raffinatezza. La cosa certa ed indiscreta è che la nostra città condensa questo potenziale che promuove dolore, speranza, libertà e identità (leggi: processo di individuazione, o autoconsapevolezza).

(traduzione di Pietro Adorni – 24/2/2010)

El Nuevo Tango - di Leopoldo Marechal
tratto dal sito web http://www.psicotango.com.ar/libros.htm

No pudiendo solidarizarme con la realidad que hoy vive el país, estoy solo e inmóvil: soy un argentino en esperanza. Eso en lo que refiere al país. En cuanto a mí mismo, la cosa varía: si al llegar a esta tierra mis abuelos cortaron el hilo de su tradición y destruyeron su tabla de valores, a mí me toca reanudar ese hilo y reconstruirme según los valores de mi raza. En eso ando. Y me parece que cuando todos hagan lo mismo el país tendrá una forma espiritual.
(Adán Buenosayres)

"Yo pienso,
con P. Saint-Yves que,
cuando los pueblos hayan comprendido
las lecciones del folklore,
sólo entonces se abrirá la era de la
paz verdadera para la humanidad." (Alfredo Poviña)


Curioso es observar como se va manifestando el auge tanguístico de la actualidad, no sólo en el país, crisis mediante, sino a través del mundo entero, ergo, crisis mediante. Tal suceso no se nos puede escapar de nuestra atención, como sociedad tenemos el deber de interrumpirnos en este punto. El tema es poder sacar provecho de esto en su mejor sentido y delimitar esa improvisación que tanto nos ha salvado pero que tanto nos ha hundido. La contrariedad que padecemos en lo que respecta a la sistematización de un programa serio tiene que ser erradicada por lo pronto para poder comenzar a ser creíbles. Tanto los campeonatos como las reuniones internacionales que se dan a nivel de baile en el país, al día, dejan mucho que desear. Por otro lado salta a la vista una tacha de deterioro y falta de aprovechamiento tanto de los lugares maravillosos que posee la ciudad para organizar fiestas públicas, como de los programas de turismo paralelos a lo específicamente tanguístico (hay que tener en cuenta que en un futuro cercano éste se va a multiplicar). Claro, esto es un fenómeno que recién comienza a retallarse, es decir, es una manifestación que comienza paulatinamente a robustecerse con intensidad, pero sobre bases ya caducas para las generaciones y los tiempos entrantes.
a- Tango-Danza en su potencia
Podríamos decir que, en un principio, fue el baile de arrabal y las payadas, que en su momento fue la lírica de Gardel y Le Pera, en otro, la música con las grandes orquestas del cuarenta, más tarde, los cantores, luego, Piazzolla, hasta que hoy en la actualidad se produce una vuelta a la Danza. Cosa interesante desde el punto de vista evolutivo y dialéctico. Al día se "cuecen" decenas de milongas por noche y lugares para aprender a bailar; cada día son más los estudios de danza que abren sus puertas y mayor el entrenamiento que los bailarines exhortan para sus presentaciones requeridas en el país como en el exterior. Hay un auge atrayente en referencia a los intereses de la gente joven con respecto a esto, no sólo de los jóvenes del terruño, sino del mundo: su repercusión, entre otras cosas, también viene a reafirmar ese "europeísmo" "de querer ser" lo cual marca la impronta, a su vez, de lo personal.
El salteo de generación se nos plantea necesario para que el resurgimiento se geste con tal potencia. Aunque nunca en su totalidad, el agujero que deja el "bache" sirve de viaducto para recobrar las fuerzas perdidas. Existe un viejo adagio chino que dice que lleva tres generaciones lograr "la buena porcelana" fina. Podemos tomar también la metáfora que nos provee el bailarín e investigador Rodolfo Dinzel, en la cual explica que el tango es como un monstruo gigante de tres patas, a saber: la danza, la música y la poesía (lírica), para lo cual es necesario que se mueva de a uno, porque de moverse las tres al mismo tiempo, caería. A pesar de esto, ya es notorio cierto cambio en la estructura musical, a la vez que llegan al escenario nuevas orquestas de gente joven no sin llamar la atención.
Estipulamos que el Tango-Danza es el nuevo líder de nuestra cultura. Es el fenómeno que actualmente está expresando en vanguardia los elementos que componen el prodigio tango. El auge que podríamos medir cuantitativamente en cantidad de bailarines, milongas y campeonatos en los últimos años, ha sido notable. Son cada vez más las personas que se acercan a los "templos" tangueros, así como los espectáculos de baile que son ofrecidos hacia el resto del mundo. Todos quieren bailar y sienten la necesidad de esto a través de la demanda del cuerpo. La danza marca claramente el zeitgeist actual. Es la revancha del espíritu que se desenfrena por captar adeptos, su insistencia refiere el contrapunto actual, el estado del alma pide certificado. La conjunción de cuerpo y espíritu que promueve la danza desde su forma mandálica, hace que el pedido sea imposible de eludir.
El marco que se da en la Ciudad de Buenos Aires con respecto a la danza de tango es de un espectro amplio y creciente. La gente del resto del mundo encuentra en la ciudad un lugar único en el mundo como para practicar e imbuirse de esta danza y cultura de tristeza y refinamiento. Lo cierto e indiscreto es que nuestra ciudad condensa este potencial que promueve dolor, esperanza, libertad e identidad.

giovedì 25 febbraio 2010

Roberto Goyeneche – El Polaco


Roberto Goyeneche – El Polaco
A 83 anni dalla sua nascita

Nasce il 29 Marzo 1926 a Urdinarrain, Entre Ríos, Argentina.
Molto giovane si trasferisce nel quartiere di Saavedra Capital Federal, Buenos Aires, Argentina.
Il “Polacco” inizia la sua carriera come cantante dell’orchestra di Raúl Kaplún nel 1944, a 18 anni,
insieme al cantante Ángel Díaz "El Paya" (che sarebbe il responsabile del suo soprannome).
Di questo periodo non sono rimaste testimonianze discografiche.
Il "Polacco" che conosciamo inizia la sua epoca d’oro quando entra nell’orchestra di Horacio Salgan nel 1952 e nel corso di nove anni come cantante di Aníbal Troilo.
In molti cercheranno nello stile di Carlos Gardel e Edmundo Rivero le influenze d’ispirazione di Goyeneche che però non ha mai copiato altri.
Si realizza quale modello intramontabile di interprete, che ha saputo rispettare gelosamente i testi dei tanghi e trovarne il senso estetico profondo delle melodie senza distorcerle.
Ha vissuto a Saavedra per 68 anni; dove, a 14 anni, cantava per aiutare la famiglia e la madre vedova.
I insegnanti di Goyeneche sono stati diversi: Gardel, Le Pera, Cátulo Castillo, Homero Manzi, José María Contursi, Homero Expósito, Discépolo, Cadícamo.
Ma senza dubbio è stato Troilo ad insegnargli il segreto del fraseggio.
Oltre alle sue incisioni discografiche con “Pichuco” (Aníbal Troilo), Goyeneche ha cantato anche con le orchestre di Armando Pontier, Atilio Stampone, Baffa-Berlinghieri, Roberto Pansera, Leopoldo Federico, Astor Piazzolla e Raúl Garello.
E proprio Garello ha ammesso di avere scritto per lui non meno di 110 canzoni.
Acclamato nel Chatelet de París –i critici lo avevano definito "Gardel reincarnato" – di lui hanno scritto che era capace di ammutolire il pubblico leggendo la Bibbia e di far restare a bocca aperta un’intera sala interpretando il tango "La última curda".
E’ morto il 27 Agosto del 1997.

Fonte: http://www.robertogoyeneche.tango-tour.com.ar/


(traduzione di Pietro Adorni – 7/2/2010)

Miguel Caló

Miguel Caló

Nella storia artistica del maestro Miguel Caló distinguiamo due fasi ben differenziate che mostrano la sua evoluzione musicale e le sue doti di grande direttore d’orchestra.
Sebbene il suo successo più trascendente sia collegato al tango della decade del ‘40, il suo lavoro ebbe inizio alla fine degli ‘20 e si consolidò negli anni ‘30.
La prima fase inizia con l’orchestra del 1934, in cui possiamo ritrovare uno stile familiare a quello di Fresedo ed un suono che ci ricorda Di Sarli. Anche se prima aveva formato altri gruppi, questi furono più casuali e di risalto molto minore.
L’orchestra del 1934 contava sul pianoforte di Miguel Nijensohn, che lascerà un’impronta che segnerà per sempre lo stile della stessa, anche dopo il ’40. Questo strumento avrà il compito di legare il fraseggio musicale con una cadenza ed un ritmo ideali per i ballerini.
Di questo periodo possiamo porre in rilievo l’apporto vocale di Carlos Dante, col quale incide 18 brani di notevole bellezza.
Anche Alberto Morel e Roberto Caló, fratello di Miguel, furono cantanti in questa prima parte della sua storia che durò fino all’anno 1939.
Il quaranta ci rivela la maturità di questo grande direttore, capace di mettere insieme un gruppo di musicisti giovani di straordinaria abilità e risoluzione, che poi col tempo formarono tutti quanti gruppi orchestrali propri.
In questa seconda fase Caló sviluppa ed approfondisce tutto uno stile che unisce il tango tradizionale al rinnovamento della sua epoca, senza attriti, tramite una presenza rilevante di violini, una fila ritmica di bandoneón ed un pianoforte, spettacolare, suonato il primo anno da Osmar Maderna, che verrà poi sostituito da Miguel Nijensohn, al suo ritorno nell’orchestra.
Tra i musicisti che hanno fatti parte della sua orchestra risaltano: Domingo Federico, Armando Pontier, Carlos Lazzari, Eduardo Rovira, Julián Plaza, José Cambareri (bandoneón), Enrique Francini, Antonio Rodio, Nito Farace (violini), Ariel Pedernera y Juan Fassio (contrabbasso).
Miguel Caló non promosse solanto grandi musicisti, bensì anche grandi cantanti che debuttarono professionalmente nella sua orchestra, valgano come esempio i casi di Raúl Berón, Alberto Podestá e Raúl Iriarte.
Quanto a Berón possiamo evidenziare che fu scoperto da Armando Pontier, che lo presentò al direttore, e su questo c’è un aneddoto interessante.
Questo cantante, insieme a suo fratello José, si dedicava essenzialmente al folklore, ed inoltre Raúl Berón conosceva solo qualche strofa di qualche tango. Per questo motivo, il maestro Caló lo introduce nel suo "Shangai" perché familiarizzi con la musica della sua orchestra.
Dopo aver preparato un repertorio, il cantante accompagnò il maestro nelle trasmissioni radiofoniche. Però accadde che ai dirigenti dell’emittente il cantante non piacque e suggerirono a Caló di disfarsene. Con grande dispiacere, questi gli comunica che a fine mese avrebbero terminato la collaborazione. Nel contempo esce in vendita il primo disco di Raúl Berón registrato con l’orchestra, il tango "Al compás del corazón" di Domingo Federico e Homero Expósito, che riscuote un successo di vendite incredibile. Quegli stessi dirigenti che avevano criticato in modo negativo il cantante, si congratularono col maestro Caló per la sua scelta e riconobbero il loro sbaglio. Questo fece sì che non si perdesse una delle voci più considerevoli del nostro tango e senza dubbio la migliore che ebbe l’orchestra. Miguel Caló era un musicista di formazione teorica, che aveva studiato violino e bandoneón.
A partire dal 1926 girovaga in diverse orchestre importanti ed entra nella fila di bandoneón dell’orchestra di Osvaldo Fresedo. Nel 1927 entra in quella del pianista e direttore Francisco Pracánico.
Nel 1929 forma la sua prima orchestra, che scioglie per unirsi all’orchestra del poeta e pianista Cátulo Castillo in una tournée in Spagna. A questa tournée partecipano anche i fratelli Malerba e il cantante Roberto Maida.
Torna a Buenos Aires e ricostituisce la propria orchestra con Domingo Cuestas (bandoneón), Domingo Varela Conte, Hugo Gutiérrez ed Enrique Valtri ai violini, Enzo Ricci al contrabbasso ed il pianista Luis Brighenti.
E’ di nuovo richiesto per andare all’estero e nel 1931 va negli Stati Uniti con l’orchestra di Osvaldo Fresedo.
Già nel 1932, di nuovo come direttore della propria orchestra, incide per la prima volta, per l’etichetta scomparsa “Splendid”, i brani: "Milonga porteña" (tango dello stesso Caló e di Luis Brighenti col testo di Mario César Gomila) e "Amarguras" (vals di Miguel Nijensohn e Jaime de los Hoyos). Il cantante era Román Prince.
Miguel Caló non è stato un compositore di rilievo, ma alcune sue opere, in collaborazione con Osmar Maderna (autori anche dei testi), sono incredibilmente belle come nel caso di "Jamás retornarás" e "Qué te importa que te llore", entrambi messi su disco con la voce di Raúl Berón. Anche il tango "Dos fracasos", col testo di Homero Expósito e la milonga "Cobrate y dame el vuelto", testo di Enrique Dizeo, furono molto popolari.
Nel 1961, con i bandoneonisti Armando Pontier e Domingo Federico, i violinisti Enrique Francini e Hugo Baralis, il pianistra Orlando Trípodi, e i cantanti Raúl Berón e Alberto Podestá, Caló rimise insieme parte della formazione del ’40, dandosi il nome "Miguel Caló e la sua Orchestra delle Stelle”. Si esibirono alla “Radio El Mundo” e fu tanto il successo che incisero per l’etichetta “Odeon” 12 nuovi brani (tra il 16/4/1963 e il 7/6/1963).
L’orchestra di Miguel Caló verrà ricordata per l’esecuzione del miglior tango, quello che trascende il proprio tempo e che oggi viene valorizzata per le sue grandi qualità artistiche e da una pleiade danzante che la evoca continuamente con le note di "Sans Souci" (di Enrique Delfino), forse la sua interpretazione emblematica.

Traduzione di Pietro Adorni – 8/12/2009

(Dal sito web: http://www.todotango.com/Spanish/creadores/mcalo.asp)



Miguel Caló

En la historia artística del maestro Miguel Caló distinguimos dos etapas bien diferenciadas que revelan su evolución musical y sus dotes de gran director de orquesta.
Si bien su éxito más trascendente se relaciona con el tango de la década del cuarenta, su trabajo se inicia a fines del veinte y se consolida durante los años treinta.
La primera etapa se inicia con la orquesta de 1934, en la cual podemos verificar un estilo familiarizado con el de Fresedo y un sonido que nos recuerda a Di Sarli. Si bien antes había formado otros conjuntos, estos fueron más bien casuales y de poca trascendencia.
La orquesta de 1934 contaba en el piano con Miguel Nijensohn, quien va a dejar una impronta que marcará para siempre el estilo de la misma, aún después del cuarenta. Este instrumento será el encargado de encadenar las frases musicales, con una cadencia y un ritmo ideal para los bailarines.
Durante este tiempo podemos destacar la participación vocal de Carlos Dante, con quien graba 18 temas de una relevante belleza.
Alberto Morel y su hermano Roberto Caló fueron también cantantes de esta primera parte de su historia que duró hasta el año 1939.
El cuarenta nos revela la madurez de este gran director, capaz de convocar a un conjunto de músicos jóvenes de extraordinaria capacidad y solvencia, que con el tiempo pasaron a formar, todos ellos, sus propias agrupaciones.
En esta segunda etapa Caló desarrolla y profundiza todo un estilo que une el tango tradicional con la renovación de su época, sin estridencias, con una destacada presencia de los violines, una línea de bandoneones rítmica y un piano, espectacular, ejecutado el primer año por Osmar Maderna, quien fuera reemplazado después por Miguel Nijensohn, en su regreso a la orquesta.
Entre los músicos que formaron en su orquesta se destacan: Domingo Federico, Armando Pontier, Carlos Lazzari, Eduardo Rovira, Julián Plaza, José Cambareri (bandoneones), Enrique Francini, Antonio Rodio, Nito Farace (violines), Ariel Pedernera y Juan Fassio (contrabajo).
Miguel Caló no sólo promocionó grandes músicos, sino también grandes cantantes que debutaron profesionalmente en su orquesta, sirvan de ejemplo los casos de Raúl Berón, Alberto Podestá y Raúl Iriarte.
Con respecto a Berón podemos destacar que fue descubierto por Armando Pontier, quien lo presentó al director, y sobre esto hay una interesante anécdota.
Este cantor junto con su hermano José se dedicaban esencialmente al folklore, es más Raúl Berón sólo sabía alguna estrofa de algún tango. Por ese motivo, el maestro Caló lo lleva a su cabaret "Shangai" para que se familiarizara con la música de su orquesta.
Después de armar un repertorio, el cantor acompañó al maestro en las actuaciones radiales. Pero ocurrió que a los directivos de la emisora no les gustó el cantor, y le sugirieron a Caló que se desvinculara de él. Con gran pesar, este le comunica que a fin de mes terminarían la relación.
En el ínterin sale a la venta el primer disco de Raúl Berón grabado con la orquesta, el tango "Al compás del corazón" de Domingo Federico y Homero Expósito, el que tiene un éxito de venta increíble.
Los mismos directivos que habían criticado negativamente al vocalista, felicitaron al maestro Caló por su elección y reconocieron su equivocación. Esto posibilitó que no se malograra una de las más importantes voces de nuestro tango y sin duda la mejor que tuvo la orquesta.
Miguel Caló fue un músico de formación teórica, que estudió violín y bandoneón.
A partir del año 1926 peregrina por diversas orquestas de gran importancia, entrando en la fila de bandoneones de la orquesta de Osvaldo Fresedo. En 1927 ingresa en la del pianista y director Francisco Pracánico.
En 1929 forma su primera orquesta, la que disuelve para unirse a la orquesta de poeta y pianista Cátulo Castillo en una gira por España. En esa gira también participaron los hermanos Malerba y el cantor Roberto Maida.
Regresa a Buenos Aires y reconstruye su orquesta con Domingo Cuestas (bandoneón), Domingo Varela Conte, Hugo Gutiérrez y Enrique Valtri en violines, Enzo Ricci en el contrabajo y el pianista Luis Brighenti.
Nuevamente es requerido para viajar al exterior y en 1931 viaja a los Estados Unidos con la orquesta de Osvaldo Fresedo.
Ya en 1932, nuevamente como director de su orquesta, graba por primera vez, para el desaparecido sello Splendid los temas: "Milonga porteña" (tango del propio Caló, Luis Brighenti y letra de Mario César Gomila) y "Amarguras" (vals de Miguel Nijensohn y Jaime de los Hoyos). El cantor era Román Prince.
Miguel Caló no fue un compositor destacado, pero algunas de sus obras, en colaboración con Osmar Maderna (también autores de la letra), son increíblemente bellas tal los casos "Jamás retornarás" y "Qué te importa que te llore", ambos llevados al disco con la voz de Raúl Berón. El tango "Dos fracasos", con letra de Homero Expósito y la milonga "Cobrate y dame el vuelto", letra de Enrique Dizeo, también fueron muy populares.
En 1961 junto a los bandoneonistas Armando Pontier y Domingo Federico, los violinistas Enrique Francini y Hugo Baralis, el piano Orlando Trípodi, y los cantores Raúl Berón, Alberto Podestá, Caló reconstituyó parte de la formación del cuarenta, denominándose "Miguel Caló y su orquesta de las estrellas". Actuaron en Radio El Mundo con tanto éxito que grabaron en el sello Odeón 12 nuevos temas (entre el 16/4/1963 y 7/6/1963).
La orquesta de Miguel Caló será recordada por la ejecución del mejor tango, el que trasciende su tiempo y que hoy es valorada por sus grandes condiciones artísticas y por una pléyade danzante que la evoca permanentemente con las notas de "Sans Souci" (de Enrique Delfino), quizás su interpretación emblemática.

Desde: http://www.todotango.com/Spanish/creadores/mcalo.asp

Col tango facciamo la differenza - Con el tango hacemos la diferencia

Col tango facciamo la differenza

Il musicista, che ha messo radici a New York, ricorda il suo passaggio nel quintetto di Piazzolla e ci dà la chiave del suo modo di suonare.

http://www.lanacion.com.ar/nota.asp?nota_id=1221943
Notizie di Venerdì 15 gennaio 2010

Il pianista si esibirà questa sera col suo Chamber Trío.
Tre anni fa, Pablo Ziegler ha individuato in Brooklyn il posto giusto per tenersi in contatto col mondo. "Sto là perchè è più vicino al mio circuito di lavoro, che è in Europa e Asia. New York è una città che mi dà molto musicalmente”, racconta il pianista, che ha fatto parte del quintetto leggendario di Astor Piazzolla e che si trova a Buenos Aires per presentare un altro gruppo. Col Chamber Trío, il pianista delinea un progetto più camerístico – tramite il timbro che creano Héctor del Curto al bandoneón e la violoncellista coreana Jisoo Ok - mentre continua a cercare altri sound per il tango. "Continuo a sperimentare e mi piace il colore che producono gli archi. Lavoriamo essenzialmente con le mie composizioni ed alcuni temi di Astor", dice Ziegler durante le prove, prima dello show di questa sera al Notorious.
L’ultima visita di Pablo Ziegler a Buenos Aires era stata in occasione di un nuovo incontro del Quintetto di Piazzolla con Gary Burton, un’esperienza che era culminata in due dischi e che era servita al vibrafonista per avvicinarsi al mondo tanguero. " A Burton pesa molto il repertorio di Piazzolla, ma lo fa bene. In realtà s’appoggia al quintetto di Astor, perché benché sia uno dei migliori vibrafonisti, ha dovuto imparare a suonare il tango con noi; ed ogni volta che viene impara qualcosa in più."
- ¿E’ stato difficile per lei proseguire dopo il suo lavoro con Astor?
-Per me è stata una fase importante. Ma nel quintetto avevo già molta musica scritta ed Astor lo sapeva. Mi dava corda perché componessi brani. Il mio primo disco è composto di musiche tutte mie ed è un quartetto che non aveva bandoneón. Dopo esser stato con Astor m’era dura lavorare con un altro bandoneonista.
-¿Com’è iniziato il lavoro sull’improvvisazione?
-Ricordo uno show a Montreal con quintetto in cui Piazzolla aveva improvvisato tutto l’assolo di “Tristeza de un doble A" (Tristezza di una doppia “A”)(*). E’ un brano di sei minuti che dura come fossero venti. In qualche modo il mio ingresso e quello di Oscar López Ruiz nel quintetto cominciano a scomporre tutto. Astor voleva avere un’apertura verso il jazz nel senso dell’improvvisazione. Ma mi diceva sempre che invece di andarcene dalla parte del jazz ce ne saremmo andati verso quella del tango. Quel che lui ha acquisito, io l’ho riprodotto coi miei musicisti e così è s’andata preparando un’apertura a un altro spazio del tango, qualcosa che suona contemporaneo, e che ha a che vedere con la Buenos Aires di oggi.
Attualmente Pablo Ziegler ricrea sessioni di jam tanguera nel club Jazz Standard di New York. "Da quel ciclo sono passati da Paquito di Rivera, a Joe Lovano e Kenny Garret, tra gli altri. Tutti si avvicinano al mondo del tango attraverso l'improvvisazione. Nel contempo c'avviciniamo tutti al mondo musicale dell'altro ed impariamo. Lì devi pelare e riordinare tutto.
-¿Qual’è il segreto per improvvisare nel tango?
-Devi prendere l’improvvisazione in sé. Non si tratta di improvvisare jazz, il segreto invece è improvvisare in linguaggio tanguero. Un modo è la modalità di tenere il ritmo con la mano sinistra. Diversi di quei precedenti e fraseggi li puoi prendere quale punto di partenza nelle cose che faceva il pianista Osvaldo Tarantino con Piazzolla. Quando ho cominciato io, la mia improvvisazione era molto jazzistica, ma dopo era apparso il tango. Per dieci anni mi son dedicato ad esplorarlo. Astor diceva che col jazz non potevamo competere, però col tango facevamo la differenza ovunque. Ed aveva ragione.
(*) Una doppia “A” è il bandoneón. La sigla “A.A.” riporta le iniziali di Alfred Arnold, il primo produttore ed esportatore di bandoneón in Argentina.
(traduzione di Pietro Adorni – 20/1/2010)


Con el tango hacemos la diferencia

El músico, radicado en Nueva York, recuerda su paso por el quinteto de Piazzolla y da las claves de su sonido

http://www.lanacion.com.ar/nota.asp?nota_id=1221943
Noticias de Viernes 15 de enero de 2010

El pianista se presentará esta noche con su Chamber Trío
Hace tres años, Pablo Ziegler encontró en Brooklyn el lugar para estar conectado con el mundo. "Estoy allá porque me queda más cerca de mi circuito de trabajo, que es Europa y Asia. Nueva York es una ciudad que me aporta mucho musicalmente", cuenta el pianista, que formó parte del legendario quinteto de Astor Piazzolla y que está por Buenos Aires para mostrar otra formación. Con el Chamber Trío, el pianista traza un plan más camarístico -por el sonido que aportan Héctor del Curto en bandoneón y la chelista coreana Jisoo Ok- mientras sigue buscando otros sonidos para el tango. "Sigo experimentando y me gusta el color que aportan las cuerdas. Trabajamos básicamente con mis composiciones y algunos temas de Astor", cuenta Ziegler en medio del ensayo, antes del show de esta noche en Notorious.
La última visita de Pablo Ziegler a Buenos Aires fue para una nueva reunión del Quinteto de Piazzolla con Gary Burton, una experiencia que había culminado en dos discos y que le sirvió al vibrafonista para acercarse al mundo tanguero. "A Burton le cuesta mucho el repertorio de Piazzolla, pero lo hace bien. En realidad él se cuelga del quinteto de Astor, porque a pesar que es uno de los mejores vibrafonistas, tuvo que aprender a tocar tango con nosotros; y cada vez que viene aprende un poco más".
- ¿Fue difícil seguir después de su trabajo con Astor?
-Para mí fue una etapa importante. Pero durante el quinteto ya tenía mucha música escrita y Astor lo sabía. El me daba manija para que componga temas. Mi primer disco, son todas músicas mías y es un cuarteto que no tenía bandoneón. Después de estar con Astor me costaba trabajar con otro bandoneonista.
-¿Cómo empezó el trabajo con la improvisación?
-Recuerdo un show en Montreal con el quinteto donde Piazzolla improvisó todo el solo de "Tristeza de un doble A". Es un tema de seis minutos que dura como veinte. De alguna manera la entrada mía y la de Oscar López Ruiz al quinteto empiezan a pudrir todo. Astor quería tener una apertura hacia el jazz en el sentido de la improvisación. Pero él siempre me decía que en vez de irnos para el lado del jazz, nos fuéramos para el lado del tango. Lo que él logró, yo lo fui replicando con mis músicos y así se fue armando una apertura hacia otro lugar del tango, algo que suena contemporáneo, y tiene que ver con la Buenos Aires de hoy.
Actualmente Pablo Ziegler recrea sesiones de jam tanguera en el club Jazz Standard de Nueva York. "Por ese ciclo pasaron desde Paquito de Rivera a Joe Lovano y Kenny Garret, entre otros. Todos se arriman al mundo del tango a través de la improvisación. A la vez todos nos arrimamos al mundo musical del otro y aprendemos. Ahí tenés que pelar y mandarte con todo.
-¿Cuál es el secreto para improvisar con el tango?
-Tenés que tomar la improvisación per se . No se trata de improvisar jazz sino que el secreto es improvisar con lenguaje tanguero. Una manera es la forma de mantener el ritmo con la mano izquierda. Muchos de esos antecedentes y frases los podés tomar como punto de partida en las cosas que hacía el pianista Osvaldo Tarantino con Piazzolla. Cuando yo empecé, mi improvisación era muy jazzera, pero después fue apareciendo el tango. Durante diez años me dediqué a investigar eso. Astor decía que con el jazz no podíamos competir, pero con el tango hacíamos la diferencia en cualquier parte. Y tenía razón.

BANDONEÓN – Mario Benedetti

BANDONEÓN – di Mario Benedetti

Mi rompe ammetterlo
ma anche la vita è un bandoneón
c’è chi sostiene che lo suoni Dio
ma son sicuro che sia Troilo
giacché Dio suona appena l’arpa
e male
Sia quel che sia, è certo
che ci tende in un solo movimento purissimo
e poi ci riduce da poco a quasi nulla
e certo ci strappa confessioni
lamenti che son fragori
vertebre di allegria
speranze che tornano
come figli prodighi
e soprattutto come i ritornelli

Mi rompe ammetterlo
perché è certo che oggigiorno
pochi vogliono esser tango
la tendenza naturale
è esser rumba o mambo o cha-cha-cha
o merengue o bolero o forse casino
alla peggio valsecito o milonga
paso-doble mai
ma quando Dio o Pichuco o chiunque sia
prende tra le sue mani la vita bandoneón
e le consiglia di piangere o gioire
si avverte il tremendo onore d’esser tango
e si lascia cantare e neppure si ricorda
che, là, aspetta
la custodia.

(*) Pichuco: soprannome di Anibal Troilo.

(traduzione di Pietro Adorni – 22/2/2010)
BANDONEÓN – Mario Benedetti
me jode confesarlo
pero la vida es también un bandoneón
hay quien sostiene que lo toca dios
pero yo estoy seguro que es troilo
ya que dios apenas toca el arpa
y mal
fuere quien fuere lo cierto es
que nos estira en un solo ademán purísimo
y luego nos reduce de a poco a casi nada
y claro nos arranca confesiones
quejas que son clamores
vértebras de alegría
esperanzas que vuelven
como los hijos pródigos
y sobre todo como los estribillos
me jode confesarlo
porque lo cierto es que hoy en día
pocos
quieren ser tango
la natural tendencia
es a ser rumba o mambo o chachachá
o merengue o bolero o tal vez casino
en último caso valsecito o milonga
pasodoble jamás
pero cuando dios o pichuco o quien sea
toma entre sus manos la vida bandoneón
y le sugiere que llore o regocije
uno siente el tremendo decoro de ser tango
y se deja cantar y ni se acuerda
que allá espera
el estuche.

venerdì 5 febbraio 2010

Melodia de Arrabal - Film BN del 1933 con Carlos Gardel




Un pò vecchiotto il film e anche se è in lingua originale,
visto che Gardel ogni tanto canta, allora .....
Buona visione !