mercoledì 21 marzo 2007

Traduzione dell'intervista a Sebastian Arce del 19/03/2006

Intervista a Sebastian Arce 19/03/2006 - presidente e professore dell'associazione Tango Renaissance

Tango e Ossessione

Come è nato il tuo fascino (amore) per il tango, Sebastian?
È mio padre che mi ha portato ad un corso di tango, la prima volta. Avevo una decina d’anni e mio padre si era incaricato di trovarmi un'attività nella quale impiegarmi, perché non era sempre disponibile per me. La storia è cominciata così. Il tango mi ha dato qualche cosa che non avevo di mio. In questo universo, le persone mi accordavano molta importanza. Ero in qualche modo il piccolo, l’ultimo, quello che tutti coccolavano, ero molto viziato da tutti questi "personaggi". Sono stato affascinato molto rapidamente, poi sono diventato dipendente di questo ambiente naturale dove mi sentivo amato, cinto (accolto), valorizzato. Ho acquisito dunque velocemente fiducia in me, in questo mezzo nel quale sbocciavo, perché le persone si prendevano la briga di investire del tempo e dell'energia per trasmettermi uno scibile, per donarmi l'affetto di cui avevo bisogno e per dispensarmi i loro migliori consigli. Devo molto al tango ed alle persone che me l'hanno insegnato, perché senza essi non sarei probabilmente quello che sono oggi.
Diresti che il tango può diventare una droga?
Sì in certi casi. Conosco molte persone che hanno investito tutto nel tango: il loro tempo, il loro denaro, la loro vita. Ho visto degli amici perdere il loro impiego perché rientravano troppo spesso molto tardi, o altri privarsi di tutto per il tango, perché si diventa rapidamente dipendenti. In questo caso, può diventare una droga, ma penso che ciò dipende molto dalla capacità della persona nel gestire le proprie attese personali. Certe persone sono troppo esigenti con se stesse. Per quelli che sanno limitare le loro attese e che sanno soddisfarle, non ci son problemi.
Penso che le persone che diventano "tango-dipendenti” soffrano di una mancanza a livello sociale, familiare o altro, e cercano una porta d’emergenza, una via di fuga da certe realtà; questo è stato il mio caso quando ero piccolo. Mi coricavo alle 3 del mattino, dopo la milonga, e mi svegliavo alle 7 per andare a scuola. Mi addormentavo spesso sul mio banco di scuola, russavo anche, al punto che i miei amici non volevano sedersi accanto a me perché si vergognavano! In quel periodo della mia vita, il tango era una droga, a volte passavo 3 a 4 giorni senza dormire. Che il tango sia una passione è una cosa, un'ossessione, un’altra.
Oggi è differente. Direi che sono i miei ideali che diventano una droga. Mi sento parte integrante di un movimento sociale nel tango, responsabile dell'evoluzione di questa danza e di questa musica. Sento che gioco un ruolo importante in quest’arte, voglio realizzare molte cose e non ho paura di investire personalmente del denaro per produrre degli artisti o per promuovere la mia arte, anche se è finanziariamente difficile per me. È in questo che i miei ideali mi assillano: voglio concretizzare i miei obiettivi. È la mia priorità. Per me, prendere cura della mia vita equivale a prendere cura del mio tango. Se mi sveglio trascurando i miei alunni, la mia scuola, i miei progetti, mi sento a disagio. Dunque sì, è un'ossessione, ma una bella ossessione! Ho un aneddoto a raccontare a questo proposito: mi è capitato di rompere una relazione con una piccola amica quando ero giovane, perché la madre di questa parlava del tango come una danza da bordello, volgare e priva di interesse. Ho chiuso la relazione con la mia amica perché non ha risposto nulla a sua madre, perché non condivide la mia visione delle cose, perché per me il tango è un'arte e non solamente un divertimento. Questo ben dimostra quanto sia importante per me esprimere la mia arte.
Esistono, secondo te, dei mezzi "di alleggerire" questa ossessione?
No. Il miglior modo di impedire l'ossessione è il prendersi cura di sé, investendo su più se stessi che su tutte le altre cose. Bisogna sentirsi a proprio agio con sé stessi. La risposta non è nel tango bensì nella domanda: mi sto prendendo cura di me oppure no? Sono felice, soddisfatto di ciò che faccio?
Io ho vissuto questo in quanto artista: passavo delle giornate a lavorare, a ripetere, a voler fare sempre meglio. La mia ossessione era quella di piacere alla gente. Credo che, quando si smette di pensare agli altri e si approfitta del momento, si danzi meglio. Si è meno nella tecnica e più nel “provato (sentito)”. L'obiettivo stesso di un'arte è esprimere ciò che si prova. Se l'arte blocca l'emozione, i sentimenti, non ha nessuno senso nella tua vita. Non bisogna aspettarsi tutto dall'arte. Bisogna accettare ciò che si è, ciò che si fa e prenderci gusto, e non sentirsi sfortunati perche non si riesce ad eseguire una colgada. Non posso chiedere all'arte di fare in modo che io mi ami di più. Appartiene a me soltanto fare questo lavoro, non all'arte. La risposta è in se stessi, bisogna chiedersi: quale è il mio scopo nel tango? Che cosa ne aspetto? Come mi “nutre” personalmente?
Oggi, per esempio, ho deciso di non ripetere più coreografie perché ho voluto incontrare il mio lato creativo nell’attimo presente. Ho lavorato, negli anni, su delle coreografie e sentivo lo sguardo degli altri, la mia arte era come condizionata dalle aspettative delle persone. Si complimentavano con me per la velocità, per le figure, ma nessuno mi ha detto mai: "Sono commosso.". Avevo provocato solamente la sorpresa, non l'emozione. Dove sta l’arte? Bisogna differenziare l'esercizio o la prestazione fisica, da un'arte, da un sentimento. Ho voluto incontrare la mia arte, incarnarla, ed è perciò che ho deciso di fare soltanto delle improvvisazioni per un anno, a tutti i festival dove vado. Mariana se n’è avuta un po’ a male per questa mia decisione e, del resto, non eravamo sicuri di avere fatto una buona scelta, ma, poco a poco, abbiamo ripreso fiducia rispetto al rischio di “metterci a nudo” davanti ad un pubblico pieno di attese differenti. Quando ballo, sono là, così, accettatemi. Dopo, le persone mi parlano di sensibilità, di musicalità, di emozione, perché hanno visto solamente noi e la nostra arte. Non si mente, si dà tutto nell’attimo presente. Si ha sempre paura che le persone non amino, ebbene io voglio danzare per me adesso, voglio che ciò mi piaccia a, e se le persone considerano che sia un male, ciò non mi appartiene più. Sono felice quando danzo, so che ho lavorato per quello, che ho esplorato l'improvvisazione con Mariana e che continuiamo di farlo. So che la materia è là.
Laure: Grazie Sebastian di avere condiviso i tuoi sentimenti con noi su questo argomento, penso che le persone forse vedranno forse in modo diverso le cose rispetto alla loro esperienza personale.
Sebastian: auguro loro in ogni caso di trovare tutta la felicità del mondo, perché ciò è l'essenziale!

6 commenti:

aurora ha detto...

Ma quanto veloce sei a tradurre dal francese?
Pietro sei incredibile! Complimenti!

Pietro ha detto...

Aurora, grazie per i complimenti... in effetti, valgo poco como bailarin; con le chiacchiere (ahahah) e con le lingue straniere, me la cavo un pochino meglio... :-)

niky ha detto...

Siamo in due Pietro;) Guarda Vincenzo che non parla affatto e poi.....tutte ai suoi piedi (spero solo che se li lavi dopo le lunghe maratone milonghere) ;)))

aurora ha detto...

Non trattate male Vincenzo, il mio mito bailarin!

Pietro ha detto...

Ahahah Niky! ;-)

Me gusta la frase "...non parla affatto e poi... tutte le donne ai suoi piedi...". Non vorrei essere nei suoi panni: pensa quante energie dovrà impiegare per imparare nuovi passi che gli consentano di uscire dal garbuglio e di ballare: la scavalcada, la volada, la levitaciòn, ecc., ecc... :-)))

niky ha detto...

E' piccoletto ma ti assicuro che è pieno di energia !!! Speedy Vincent Gonzalez