martedì 10 aprile 2007

Le Fratture da Stress

Amici, spero di non annoiarvi con quest'ultimo post su:

Le fratture da stress

Questo articolo fa riferimento a una pubblicazione del prof. F. Benazzo (Le fratture da stress, f.benazzo@smatteo.pv.it); la chiarezza espositiva dell'opera consente di avere un quadro esauriente e obbiettivo di una patologia molto più frequente di quanto si pensi. La gravità della patologia è dovuta anche al fatto che tessuti a metabolismo lento (come ossa e tendini) hanno un processo riparativo più lungo rispetto ai muscoli e spesso si parla di mesi per risolvere il problema. I dati citati nell'opera di Benazzo e la mia esperienza mi portano a ritenere che le fratture da stress o le stress reaction siano molto più frequenti di quanto si pensi (si veda La sindrome invisibile da carico).
Come nasce una frattura da stress? Secondo la legge di Wolff la risposta a carichi deformanti causa un rimodellamento osseo. L'entità dei carichi a loro volta è funzione delle modalità d'applicazione (frequenza, natura, direzione ecc.), del recupero fra i vari lavori, della qualità dell'osso (età e sesso sono i fattori più importanti). Si ha una frattura quando si supera la resistenza dell'osso. In realtà non sempre la frattura è legata a un trauma evidente, ma, soprattutto in campo sportivo, può essere associata a microtraumi ripetuti. Purtroppo non è sempre evidente il limite fra frattura da stress e altre patologie ossee e dal lavoro di Benazzo si comprende come anche fra gli addetti ai lavori esista una certa confusione terminologica. Riassumendo si può dire che esistono:
- periostiti
- tendinopatie inserzionali
- stress reaction
- fratture da stress
In particolare le stress reaction sono a volte condizioni legate a una risposta fisiologica dell'osso a volta la fase iniziale (reversibile) con cui ci si incammina verso la frattura da stress. Sono evidenziate dalla risonanza magnetica, ma non presentano rima di frattura, anche se è presente dolore da carico più o meno intenso. Le stress reaction nel mondo amatoriale probabilmente hanno un'importanza ancora maggiore che le fratture da stress. Il motivo è semplicemente dovuto al fatto che l'amatore (a differenza del professionista), in presenza di un dolore anche non trascurabile e continuo durante l'esercizio, è portato a fermarsi, accelerando il processo riparativo; anche quando non decide per il riposo, è costretto (dalle minori motivazioni vs. il dolore) a ridurre notevolmente il carico: solo pochi continuano stoicamente (e scioccamente) a correre imbottendosi di antidolorifici, comportandosi come un professionista che non può mancare l'appuntamento mondiale od olimpico e arrivando a una frattura da stress.
I gruppi interessati dalle fratture da stress sono stati classificati dal lavoro di Benazzo in atleti, militari (le reclute sedentarie costrette a un duro allenamento), soggetti con insufficienza (con ossa cioè patologiche in seguito a osteoporosi o altre malattie e a trattamenti farmacologici con cortisonici o chemioterapici), bambini e adolescenti. Limitandoci alla categoria degli atleti e in particolare dei runner, in letteratura esistono delle statistiche abbastanza concordanti. Riassumendole si trovano dati interessanti. Uno studio di Bennell rileva che in un anno il 75% degli atleti esaminati (un centinaio) aveva avuto lesioni muscolo-scheletriche (1,8 lesioni per atleta in media: non poco, ma realistico); le fratture da stress erano ben il 21% (questo dato è invece meno "evidente", soprattutto fra i dilettanti). Uno studio di Matheson rivela invece che atleti più vecchi presentano fratture da stress soprattutto nelle ossa tarsali e nel femore, mentre i più giovani in tibia e perone; non è stata trovata correlazione fra distanza percorsa e le sedi di lesione. Questo è un punto fondamentale: perché si produca una frattura da stress in un individuo che si allena regolarmente deve cambiare qualcosa in maniera abbastanza rilevante: la quantità, il terreno, l'appoggio (le scarpe) ecc. Si deve cioè pensare che in un soggetto sano esista una naturale propensione all'equilibrio fra distruzione e riparazione.
Circa le sedi ovviamente non esiste una precisione assoluta fra i vari studi (occorrerebbe statisticamente esaminare migliaia di casi), ma si può senza dubbio affermare che la tibia, i metatarsi e le altre ossa tarsali rappresentano almeno l'80% delle lesioni. Perone, femore, calcagno, pelvi seguono con percentuali decisamente inferiori.
I fattori di rischio e le cause – La scientificità del lavoro di Benazzo permette (a differenza di opere più divulgative, influenzate da considerazioni personali più teoriche che pratiche) di focalizzare l'attenzione su veri fattori di rischio. In particolare:
non sembra esistere una relazione chiara fra difetti anatomici e fratture da stress, come a dire che piede cavo o piede piatto spesso vengono sufficientemente compensati;
il peso non rappresenta un fattore di rischio, probabilmente perché la grande massa corporea produce anche un aumento del trofismo osseo;
il tipo di scarpa (più o meno protettiva) non riduce l'incidenza delle fratture (così come l'uso di plantari); ciò è logico perché chi si abitua a correre con scarpe leggere e poco protettive induce dei meccanismi di difesa. Ha invece importanza l'usura della scarpa: anche ciò quadra con la necessità di variazione di qualche parametro nel quadro dell'atleta perché si verifichi la frattura;
il terreno d'allenamento; in particolare non è affatto dimostrata la correlazione fra terreni duri e fratture da stress.
Concentriamoci perciò su fattori di rischio "sicuri". Sono sostanzialmente tre.
Il primo è rappresentato dalla variazione qualitativa (introduzione di lavori veloci, balzi ecc.) o quantitativa del carico allenante; il motivo è una fatica muscolare eccessiva che provoca sull'osso un aumento delle forze d'impatto: un muscolo che si trova a dover affrontare una nuova situazione non è in grado di garantire l'ammortizzazione necessaria.
Il secondo è rappresentato dal sesso: le donne con oligomenorrea (anche se non è chiara l'associazione turbe mestruali-osteoporosi) presentano un rischio sei volte superiore agli uomini e quelle che seguono un regime alimentare per minimizzare il peso sono a rischio circa otto volte più del sesso maschile (Bennell 1995). La contraccezione orale è un fattore di protezione notevole, dimezzando il rischio se si assume la pillola da più di un anno. Da notare che una dieta povera di carne favorisce nelle atlete sia i disturbi mestruali sia un deficit di ferro, di zinco e di proteine in generale, fattori (insieme ad allenamenti in condizione di deplezione di glicogeno per scarsità di carboidrati nella dieta) che favoriscono appunto le fratture da stress. L'unico vantaggio delle donne rispetto agli uomini è che la frattura da stress in genere guarisce in un tempo che è circa la metà.
L'ultimo fattore di rischio è rappresentato dall'età: un'età più avanzata favorisce le fratture da stress.
I sintomi e la diagnosi - Il sintomo classico è il dolore che inizia spesso modestamente per arrivare progressivamente a un'intensità tale da impedire il gesto atletico nel giro di 2 o 3 settimane. Generalmente è localizzato, ma spesso tende ad assumere connotazioni diffusive nonché a subire variazioni in concomitanza con gli stadi evolutivi della frattura. La diagnosi non è facile, non tanto per una valutazione differenziale con un insieme ben definito di patologie (occorre tener presente anche rare sindromi compartimentali), quanto perché gli strumenti di indagine clinica danno risposte certe solo dopo un periodo di tempo non trascurabile (a volte mesi) e gli esami vanno svolti con molta cura e secondo tecniche d'indagine ben precise. La radiografia tradizionale è il primo esame che se positivo conferma la frattura da stress. Purtroppo i casi di positività (soprattutto nelle prime fasi) non sono molti: è cioè un esame poco sensibile (molte fratture possono risultare negative), ma specifico (se c'è positività si è in presenza di una frattura). La strada successiva in caso di radiografia negativa, ma persistenza del dolore può essere la risonanza magnetica o l'accoppiata scintigrafia-TC (tomografia computerizzata). La scintigrafia è una tecnica molto sensibile, ma poco specifica e richiede la TC (eseguita nelle aree ipercaptanti dolorose evidenziate dalla scintigrafia) per rilevare la rima di frattura e quindi la diagnosi di frattura da stress. Questa strada richiede spesso due esami e comunque necessita anch'essa di un tempo abbastanza lungo dall'inizio della sintomatologia e la diagnosi (sempre qualche mese).
Dal lavoro di Benazzo si deduce che l'esame cardine per la frattura da stress è la risonanza magnetica (secondo una tecnica standardizzata da Genovese e coll., 1995), eventualmente ripetuta dopo 2-4 settimane se risultasse negativa con dolore (caso abbastanza raro).
Le cure - Ovviamente dipendono dalla sede e dalla gravità. Si va dal semplice riposo con biostimolazione e ultrasuoni all'applicazione di un apparecchio gessato, all'intervento chirurgico. Quest'ultima soluzione non è così comune come si potrebbe pensare parlando di fratture e in genere interessa situazioni o sedi molto particolari (per esempio la rotula o il V metatarso).

2 commenti:

niky ha detto...

Spero che gli articoli siano stati comprensibili ed il linguaggio non sia stato troppo tecnico. Attenzione, sono patologie che possono capitare anche nel ballo, specie ai maratoneti del tango, ma sono multifattoriali quindi non è scontato che si verifichino. Quindi tranquilli, continuate pure a consumare le suole delle scarpette !!! ;)

Pietro ha detto...

Ciao Niky. Arigrazie per gli articoli, molto chiari ed interessanti. :-)