lunedì 13 agosto 2007

Intervista a Hugo Aisemberg

Hugo Aisemberg, nato a Buenos Aires e residente da oltre un trentennio a Ginestreto (Pu). Insegna pianoforte principale al Conservatorio Gioacchino Rossini di Pesaro.



Quando ha cominciato a suonare il tango?

Fin da ragazzo sono stato attratto da questa musica, ma la mia educazione classica non mi permetteva di affrontare questo genere.

Perché?
Perché in Argentina (in Sudamerica in generale), la cultura nazionale ha un peso molto più forte che non in Europa ed il tango non era musica considerata all’altezza dell’altra. Era messa al bando dalle sfere culturali del Paese, quindi emarginata rispetto alla musica classica. Io sentivo per il tango una grande passione e questo mi creava serie difficoltà.

Quando ha iniziato a suonarlo?
Attorno ai ventidue anni, quando ho cominciato ad essere più autonomo dai miei insegnanti. Sono stato il primo pianista a suonare il tango di Astor Piazzolla nei concerti di musica classica in Argentina, tentando di inserirlo così nel mondo ufficiale della cultura.

Che anni erano?
Attorno al ’65.

Come andò?
Le critiche furono tante, ma tante! Troppe per un ragazzo di ventidue anni. Anche per questo - o forse soprattutto per questo - ho cercato altri lidi per poter continuare su questa strada. Con successo, direi. Nell’87 ha creato il gruppo strumentale “Baires 87” per la diffusione della musica di Piazzolla; nel ’93 ha dato vita al gruppo “Novitango” che riscuote successo nelle incisioni discografiche; nel ’94 si è esibito alla Casa Rosada; per due volte è stato rappresentante della cultura italiana nel mondo all’estero suonando la musica di Piazzolla.

Perché sempre Piazzolla?
Perché è in assoluto il più talentoso tra tutti gli autori. E’ stato un ricercatore instancabile delle possibilità di questa musica, dove ha inserito jazz, musica classica, polifonia..

Si può suonare con qualsiasi strumento?
Sì, certo, ha scritto pezzi senza bandoneón.

E’ solo musica da ascolto, la sua.
Non solo, si balla anche. Famosi ballerini professionisti la trovano intrigante per le loro coreografie. Il merito di Piazzolla è di aver fatto crollare barriere e pregiudizi. Grazie a lui, dopo trent’anni il tango è suonato ovunque ed è all’altezza della musica classica. In Europa, almeno.

In Argentina no?
No. In Argentina la discriminazione esiste ancora, perché le associazioni musicali sono gestite dalla classe più agiata della popolazione che ancora conserva un giudizio discriminante su questo genere musicale, probabilmente per le sue origini. Pensi che nei conservatori statali, il bandoneón ancora non si insegna.

Che effetto faceva il tango sui nostri emigranti? Le parole di Daniele Triches, immigrato ad Ushuaia (Terra del Fuoco) nel ’46, parlano da sole:

Ricordavo dall’Italia i tanghi come “La capinera” e simili, un ballo liscio, anche se vuoi un po’ nostalgico, ballato senza fantasia, senza vibrazione. Le prime volte che udii suonare il tango da loro era una cosa che mi faceva male alle orecchie, mi indisponeva addirittura quasi fisicamente. Mi ci volle del tempo per assuefarmi a quella musica: il violino e l’acordéon, le sei corde della chitarra e soprattutto il bandonéon esprimevano un suono, un ritmo, una melodia, ora dolce, poi aspra, imperiosa o supplichevole, spaccona o nostalgica, tranquilla o convulsa, insomma, un parlare che una volta capito non ti esce più dal sangue. Ti si cala dentro, ti è nell’animo, basta un accordo che tutto il tuo essere si mette in subbuglio, un mondo si apre, un morbín ti prende i sensi, un formicolio, un’irrequietezza, un doversi muovere che si sfoga e si acquieta solo con i passi, i passi del tango argentino.

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