lunedì 13 agosto 2007

Intervista a Philippe dei Gotan Project

Ci racconti come nacque la prima idea del Gotan Project?
All’inizio non fu tanto un’idea quanto il desiderio di realizzare un tentativo: quello di mescolare il tango con i ritmi della contemporaneità. Nel 1998 Eduardo venne nel mio studio per registrare un altro progetto, quello di un gruppo folklorico. Così ascoltando la loro musica ebbi un illuminazione: eureka! Sarebbe meraviglioso, mi dissi, mescolare la parte percussiva e ipnotica della musica argentina con il tango urbano alla Piazzola e con quello che facevo allora, cioè musica elettronica. Fu così che Eduardo e io decidemmo di lavorare assieme. Iniziammo senza sapere minimamente dove stavamo andando. Ogni canzone del primo album era una nuova isola vergine, un nuovo territorio da scoprire. Era meraviglioso, perché lavoravamo senza alcuna pressione, senza un padrino da dover rispettare. Stavamo semplicemente creano qualcosa di fresco da qualcosa di antico.

Perché la Francia è sempre stata così legata al tango?
E’ vero. Perché la storia tra Parigi e Buones Aires parte da molto lontano. E’ cominciata all’inizio del Ventesimo secolo quando la musica dei cattivi ragazzi di Buenes Aires, i portuali, i poco di buono, quelli non accettati dalla borghesia argentina, diventò popolare, di moda in Francia. Questo grande successo in Francia poi tornò in Argentina con tutto il carico di chic e glamour che gli aveva messo addosso l’aria di Parigi. Fu solo allora che quella musica fu accettata dalla classe media argentina. Sai, ai suoi inizi il tango non era molto politically correct. E inoltre le sue radici erano chiaramente africane (sia la parola tango che milonga derivano da dialetti africani), era un mix tra la musica africana, quella argentina, e quella europea, tropicale.

Vi aspettavate con il primo disco tutto quel clamore? Dai locali super trendy ai saloon dei parrucchieri
No, veramente no. Devo ammettere che quando realizzammo il vinile per la mia prima etichetta indipendente Ya Basta! Dissi che volevo fare 500 copie perché non credevo che la gente si sarebbe interessata alla nostra musica. Ma il mio collega disse: no dai facciamone almeno 1000 copie. Ok, le venderemo in due anni. Chi si aspettava che un appassionato di tango fosse interessato alla musica elettronica e viceversa? Mi sbagliavo. E cominciammo ad avere grande supporto dalle comunità di tango e quella elettronica, in Italia e ovunque. Un successo forte e veloce. Non so ancora perché ma ne sono molto felice.

Come è vista il Gotan Project in Argentina?
Siamo molto fortunati perché in Argentina il Gotan Project è considerato il capostipite di un nuovo movimento di riscoperta del tango chiamato “tango elettronico”. E’ stato accettato piuttosto velocemente dalla comunità tanghera. A marzo del 2005 siamo andati in Argentina per le registrazioni del disco e siamo capitati durante il Buenos Aires Tango Festival, che è il festival istituzionale. Lì abbiamo scoperto che avevano appena istituito un’intera serata dedicata al tango elettronico, un genere che sta attirando moltissimi giovani, sia spettatori che musicisti, che ballerini. Gente di 16 o 17 anni che si riappassiona al tango, cosa che non succedeva da tempo. Per questo l’establishment del tango ci apprezza. Credo sia grande. Naturalmente ci sono dei fondamentalisti del tango che ci odiano, ma in fin dei conti va bene essere odiati da gente di così strette vedute.

Cosa è cambiato negli anni nella vostra musica?
Se ascolti “Lunatiko” e poi “La revancha del tango” sicuramente riconosci il suono del Gotan Project ma anche che ci sono molte differenze. Diverse collaborazioni, territori nuovi, il tentativo di portare l’ascoltatore in un altro viaggio. Credo sia più musicale e più sul songwriting con un po’ meno elettronica. Trovi diversi suoni, come il country alternativo, musica che puo’ ricordare colonne sonore, questo è dovuto alla collaborazione con un orchestra d’archi di 15 elementi registrati a Buenos Aires. Tanti dicono che è molto meglio del primo.

Qual è il link tra voi e il tex mex dei Calexico che suonano in un brano?
Credo che l’unione sia… vedi, quando senti i Calexico la tua immaginazione ti porta in luoghi desertici, qualcosa che ha a che fare con la solitudine, il west. Noi invece portiamo tutti nella pampa argentina, quella dei gauchos. Ecco, i cowboy e i gaucho rappresentano lo stesso personaggio: sopno soli con il loro deserto, la pensano e vivono allo stesso modo. Ecco la chimica tra la musica dei Calexico e la nostra e funziona molto bene perché significa che la musica non ha confini.

Questo gusto per la musica desertica, per i grandi spazi, è anche il motivo della scelta di fare la cover di “Paris Texas”?
Sì, esattamente. “Paris Texas”, il film di Wenders è meraviglioso così come al musica di Ry Cooder, una grande emozione. Noi abbiamo trasportato quella canzone in una zona del nordest argentino, più rurale, folklorica, è stato un modo per portare l’ascoltatore in un nuovo spazio musicale.

Puoi spiegare il significato del titolo dell’album Lunatico?
Lunatico era il nome del cavallo di Carlos Gardel, il genio, il fantastico cantante che ha creato nei primi del secolo il tango-canzone. Un mito per l’Argentina. Lui era appassionato di cavalli e di gare. Così nella canzone abbiamo campionato la voce di Gardel che parla con alcuni amici del suo cavallo preferito. Per noi è stato un tributo a Gradel ma anche a qualcosa di antico come le gare di cavalli, un ricordo di un uso degli anni Cinquanta, il gusto per una cosa antica. E poi lunatico significa cambiare umore. Come parola rappresenta bene lo spirito del Gotan Project.

Nel nuovo disco c’è anche un ottimo esperimento tra rap e tango…
Una nuova esperienza da fare, in realtà già cominciata nello scorso disco quando il gruppo hip hop underground newyorkese, gli Anti Pop Consortium, fece un remix della nostra “El capitalismo foraneo”. Fu interessante, così era ovvio provare a mixare il tango degli anni 40 e l’hip hop del nuovo secolo. Il rapper che canta qui è un giovane dei sobborghi di Buenos Aires. Vedi, in Argentina dicono che per essere un buon cantante di tango devi avere un buon “parlando”, cioè una buona e fluente capacità di parola. E il “parlando” non è poi così distante dal rap.

Vi ho visto dal vivo nascosti dietro un telone. Sarà sempre così dal vivo?
Devo dire che quella scenografia era una mia idea perché volevo creare un po’ di mistero sullo show perché dopo le grandi aspettative che aveva creato il disco mi piaceva fare un contrasto. E’ come con una donna: metti che per mesi hai creato delle fantasie su una donna e poi ad un certo punto, improvvisamente la vedi nuda, è meno interessante di tutto il resto. Così abbiamo fatto una sorta di streap tease scenografico. Intravedevi le figure dal panno ma sopra potevi vedere i video con la band e poi, dopo qualche canzone, la tenda calava potevi vedere la band direttamente. Questa era l’idea per La revancha del tango. Per il nuovo tour sarà diverso, ci saranno video e cercheremo di fare qualcosa di creativo magari con dei danzatori sul palco. E’ un work in progress.

C’è un luogo, un bar in cui a Parigi posso sentire Buenos Aires?
Non è difficile. Se vai a Buenos Aires trovi parti che sono esatte copie di Parigi, cosa che accade anche a Londra. Ma puoi vedere i ballerino di tango, sul bordo della Senna o davanti a Notre Dame ci sono i danzatori tutta la notte.

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