venerdì 21 dicembre 2007

Intervista a Gustavo Naveira (traduzione)

Anche se Gustavo Naveira fatica ad ammetterlo o lo fa solo a metà, lo ‘stile Naveira’ esiste come fenomeno visibile da non meno di dieci anni. Nella pista i ‘ballerini Naveira’ di distinguono per l’utilizzo di passi e figure in grande varietà e per l’utilizzo dello spazio con una libertà sicuramente mai vista prima. Questo stile – che iniziò a prendere forma senza troppa premeditazione in un gruppo che riuniva Naveira, Mariano Chicho Frumboli e Fabian Salas – ha finito per diventare espressione del pensiero di Naveira sul ballo. O detto in altro modo, Naveira ha formulato una filosofia sulla questione, e sul ballo in generale, di rara profondità.
Gustavo Naveia è nato nel 1960 in una famiglia di persone affezionate al tango; impara musica da bambino e prende le prime lezioni di ballo con Rodolfo Dinzel mentre studiava economia all’Università. Poco dopo si è immerso completamente nella pratica del tango, per arrivare più tardi ad altre discipline come folklore argentino e balli spagnoli, e 3 o 4 anni dopo a diventare un professionista del genere.

Quando ti sei dato completamente al tango hai preso lezione da Antonio Todaro e Pepito Avellaneda.
Credo questo accadesse nel 1986, erano i maestri del momento. Avrò fatto una decina di lezioni con Pepito Avellaneda e altrettante con Todaro; all’epoca le lezioni non erano organizzate come oggi. E’ stato un apprendistato molto importante, erano, con Dinzel, i maestri più riconosciuti dell’epoca.

Comunque la filosofia di Dinzel era molto diversa.
Non tanto differente. Dinzel sembra più relazionato allo spettacolo e Todaro e Pepito alla milonga. Però oggi alla luce dell’esperienza e degli anni che passano, mi rendo conto che non c’era tanta diversità. Tutto è più o meno legato e ognuno di loro aveva un suo punto di vista sul ballo e ha sviluppato le cose che più gli interessavano.

Intendevo dire che Dinzel non aveva un passato nel tango da pista.
Non so, non conosco il passato di nessuno di loro; logicamente ho la sensazione che Todaro abbia avuto un passato in milonga più importante di quello di Dinzel. Però credo che l’aspetto più interessante di Todaro fosse la conoscenza delle possibilità del ballo e una creatività che gli altri non avevano.


Ti riferisci al fatto che avesse in repertorio molti passi propri?
Si, molto repertorio, però con uno stile sempre riconoscibile. Non faceva qualunque cosa… quello che faceva apparteneva ad un contesto sempre ben definito.


Potresti spiegarci meglio?
Qualunque ballerino ti direbbe che l’aspetto più importante dell’insegnamento di Todaro era l’eleganza, la posizione dei piedi, l’abbraccio… Può essere. Però per me l’aspetto più importante è quello strutturale. Todaro propone cose molto bene organizzate dal punto di vista della struttura del ballo e questo è l’aspetto più rilevante. Non credo che molti dei suoi alunni lo abbiano capito. La maggioranza ha incorporato la forma ma non l’organicità del suo ballo, che era in assoluto la parte migliore di questo maestro. Ci sono ballerini che hanno acquisito notorietà applicando gli elementi di Todaro e le sue figure ma non credo che ‘lo stile Todaro’ rispetti la sua idea originale.

Qual è invece la storia del tuo percorso? Non ti soddisfaceva lo stile che si ballava?
Credo che, in principio, questo processo sia corrisposto con certi cambiamenti, da una parte inevitabili, che accaddero in un dato momento; ed io insieme ad altri ragazzi abbiamo dato voce a questi cambiamenti. Chiamala insoddisfazione se vuoi, ma mi sembra ridicolo dire oggi ‘non siamo soddisfatti del ballo quindi mutiamolo’. E’ un po’ forzato. Ho iniziato a cambiare nel momento stesso in cui ho iniziato a ballare. Non è stata una reazione al ballo ma una maniera naturale di approcciarlo. Passavamo tutto il tempo a cercare passi e qualcosa di nuovo semplicemente perché la ricerca è interessante e attraente. Solo dopo si sono verificati cambiamenti che hanno avuto un effetto folgorante e hanno permesso uno sviluppo del ballo veloce ed esplosivo. E’ qui che comincia a definirsi uno stile, come lo chiamate voi.


Quando parli di sviluppo esplosivo ti riferisci al fatto che crebbe enormemente il numero di persone interessate al ballo?
No, mi riferisco al fatto che apparirono molte più possibilità dal punto di vista coreografico. Parliamo di numeri: se prima c’erano cinquanta figure, ora ne abbiamo non so 2500, non si possono contare nemmeno volendo. E d’altra parte la qualità tecnica della coreografia è aumentata notevolmente.


Prima quando? Stai parlando degli anni 40?
No, dei dieci anni anteriori all’esplosione di cui ti ho parlato, approssimativamente a metà degli anni 90, non c’è paragone con gli anni 40. Io penso che il ballo ha iniziato il suo vero sviluppo nell’ultima fase, a partire dagli anni 80.

La tua affermazione contraddice molti che reputano gli anni 40 l’epoca più produttiva del tango.
Non condivido. La maggioranza vuole sognare che negli anni 40 si trovavano ballerini spettacolari. Non è così. Io non ne ho mai visti.


Potresti parlarci dello stile con cui più ti identifichi?
Ad un certo momento si è reso necessario identificare tecnicamente ogni cosa che si fa ballando, quello che aiuta ad ampliare le possibilità tecniche, permette un uso più profondo del linguaggio del tango, più connesso con la musica ed una espressione artistica più genuina. Chi sta scegliendo se fare questo o quello, sta anche decidendo artisticamente, dal punto di vista della composizione coreografica. Prima questo non accadeva, ballavi facendo quello che sapevi e avevi con la musica una relazione appena intuitiva, niente di più. La composizione, l’equilibrio compositivo, l’improvvisazione come concetto, la densità dell’improvvisazione, il repertorio di figure più ampio, tutto questo è qualcosa di nuovo. Sia nel tango scenario che nel tango da pista.

Ti suscita qualche interesse il tango elettronico per accompagnare il tuo ballo?
Nessuno. Non dico che non possa accadere in futuro e prendere un suo peso. Per ora non trovo risultati interessanti.

Come dire che la musica dei ’40 continua ad essere comunque la più adeguata per accompagnare un ballo che, secondo il tuo punto di vista, rispetto alla sua epoca è molto più ricco …
Questo è un altro degli aspetti interessanti del tango. Mettiamola in questi termini: negli anni 40 e 50 la stella era la musica e si ballava per esprimere questo fervore che la musica provocava. Oggi al rovescio la stella è il ballo, si balla perché il ballo provoca fervore, e se si vuole ballare ogni volta meglio si usa la miglior musica che si è prodotta per questo fine. Credo questo confermi la mia idea che sono mutate le ragioni per cui la gente balla tango. Il tango è un fatto nuovo, non un ritorno come molta gente crede.

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