martedì 3 aprile 2007

Tango Terapia - Indicazioni

Indicazioni

Col trascorrere del tempo e con l'esperienza che andava aumentando, ho potuto definire un spettro davvero ampio di indicazioni e di utilizzo della tango terapia. In alcuni casi è necessario realizzare adattamenti con tecniche modificate per ottenere un migliore approccio a certe patologie.....

.....Eccone l’elenco:

Situazioni di crisi: personali e relazionali.....

.....Malattie psicosomatiche, specie quelle che attaccano i sistemi più arcaici dell'organismo umano, le affezioni della cute, dell'apparato gastrointestinale e respiratorio, per le loro intime relazioni con le emozioni primarie.....

.....Stati d’ansia, che sono, per elezione, la manifestazione più frequente del nostro psichismo: oggigiorno, coi tempi che corrono, è osservabile la tensione presente nel corpo. Il lavoro sui tempi d’attesa e sul ritmo, aiuta a migliorare il nostro stato generale.....

.....Fobia sociale e fobia specifica: a coloro che temono l'opinione/giudizio altrui (e ballare significa mostrarsi), viene offerta la possibilità di lavorare sui motivi di quell’inibizione.....

.....Disturbo da panico e relative condotte fobico-evitanti (parlare in pubblico, essere osservati, paura degli spazi chiusi, paura delle moltitudini e paura dell'intimità con un'altra persona).....

.....Difficoltà nell’esprimersi verbalmente: il tango offre un'alternativa preziosa per comunicare ed essere compresi.....

.....Difficoltà nel rapportarsi (bene) al proprio corpo, per esempio: donne operate di tumore al seno, persone con esiti di traumi da incidenti/infortuni, con problemi d’obesità, di dismorfofobia (che normalmente s’accompagna ad alcuni disturbi ossessivi, bulimie o anoressie).....

(da Tango Terapia, Federico Trossero)

8 commenti:

niky ha detto...

Aggiungo alcune definizioni a latere che possono rivelarsi utili nella ulteriore comprensione del testo proposto da Pietro.
Vi confesso che anche per me che sono medico, non occupandomi nello specifico della materia psichiatrica e psicanalitica, risulta arduo dare delle definizioni sistematiche e scientificamente corrette dei vari termini.


La psicoterapia è una specializzazione di area sanitaria riservata in Italia ai laureati in Psicologia o Medicina iscritti rispettivamente all'Ordine degli Psicologi o all'Ordine dei Medici. La Psicoterapia è in Italia l'unica specializzazione che ammette il doppio canale formativo: pubblico e privato. Esistono infatti sia scuole di specializzazione universitarie che scuole di specializzazione private (in entrambi i casi, di tipo quadriennale). Quelle private devono essere riconosciute dal MIUR - Ministero dell'Università e della Ricerca (ex MURST -Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica).

Con la parola psicoterapia - etimologicamente "cura dell'anima" - si definisce una tecnica della psicologia applicata da psicologi e medici per la cura di disturbi diversi che vanno dal modesto disadattamento all'alienazione profonda e ch'è uso definire nevrotici e psicotici. Si tratta dunque di terapie della psiche realizzate con strumenti psicologici - la parola, l'ascolto, il pensiero, la relazione con lo psicologo - nella finalità del cambiamento consapevole di un stile di vita o dell'apprendere ad affrontare con le proprie risorse, le vicende della propria vita, malgrado la presenza di sintomi definiti come ansia, depressione, fobie, eccetera.

Indice
1 Definizioni e scuole
1.1 Scuola psicoanalitica
1.2 Scuola psicosintetica
1.3 Scuola sistemico-relazionale
1.4 Scuola cognitivo-comportamentale
1.5 Scuola ericksoniana
2 Sintomi
3 Legislazione
4 Bibliografia



Definizioni e scuole
Per approfondire, vedi la voce Categoria:Psicoterapia.

Attualmente (2005) nel mondo esistono numerosissime scuole (e ancora più numerose definizioni) di psicoterapia pertinenti a teorie che in buona parte sono tra loro in conflitto epistemologico. Queste concezioni teoriche usano tecniche di psicologia applicata assai diverse tra loro. Le teorie e le pratiche psicoterapeutiche possono essere fatte rientrare in alcuni filoni principali:


l'indirizzo psicoanalitico,
l'indirizzo sistemico-relazionale,
l'indirizzo cognitivo-comportamentale
l'indirizzo fenomenologico-esistenziale.
Ciascuno di questi macroindirizzi, basato su diverse fondamenta epistemologiche, si è poi articolato in numerosi sottoindirizzi specifici.


[modifica] Scuola psicoanalitica
Per approfondire, vedi la voce psicoanalisi.

Per gli psicoterapeuti di indirizzo psicoanalitico il sintomo manifestato dal paziente è la conseguenza di un conflitto inconscio tra alcune componenti dell'endopsichismo, o può essere attribuibile a problemi strutturali nello sviluppo di alcuni assetti interni (teorie del conflitto vs. teorie strutturali). Per poter "sopravvivere" emotivamente ad avvenimenti che non sa gestire l'individuo sviluppa delle difese di tipo psicologico (ad esempio la rimozione); l'evento problematico o "traumatico" viene così reso parzialmente gestibile, ma permane come conflitto inconscio: il sintomo rappresenta l'espressione esplicita di tale conflitto. All'interno dell'approccio psicoanalitico (detto anche psicodinamico), esistono differenti scuole di pensiero, con differenti "teorie della clinica": tra le principali, si devono citare quelle psicoanalitiche classiche, quelle psicoanalitico-relazionali, quelle psicoanalitico-intersoggettive; tra quelle derivate dal filone principale della psicoanalisi freudiana e post-freudiana, sono di rilievo quella psicologico-analitica junghiana, quella lacaniana e quella adleriana. Esistono inoltre forme di psicoterapia psicodinamica breve.

In generale, la terapia psicoanalitica prevede una stretta relazione tra psicoterapeuta e paziente, grazie alla quale si cerca di esplorare la struttura dei conflitti responsabili dei sintomi. Lo psicoterapeuta assiste il paziente nella rielaborazione dei conflitti interiori, permettendo una miglior gestione degli effetti provocati da questi. La terapia ad orientamento dinamico (in particolare se psicoanalitica) richiede un periodo medio-lungo per potersi sviluppare in maniera adeguata (anche alcuni anni, con incontri regolari due o tre volte alla settimana; in alcuni casi si possono diradare o rendere più frequenti le sedute).

Il trattamento da un punto di vista tecnico consiste nell'attivare una terapia analitica con un setting rigoroso al fine di favorire lo sviluppo del transfert, cioè l'attualizzazione di schemi relazionali pregressi nel qui ed ora della relazione clinica che viene a stabilirsi tra paziente e terapeuta; nel processo di transfert il soggetto attiva sedute una rappresentazione inconscia di stili relazionali primari, a volte correlati alle difficoltà che ha riscontrato. L'interpretazione del transfert, del controtransfert (ovvero delle reazioni emotive dell'analista stesso in certi momenti e davanti a certi processi del paziente), delle libere associazioni e di altro materiale personale (ad esempio, comportamenti, pattern relazionali, sogni, etc.) durante le sedute cercherà di favorire l'elaborazione delle cause più profonde dei conflitti, per permettere al paziente di modificare i propri stili relazionali o al fine di ottenere una parziale ristrutturazione del proprio Sè, in modo che sia il più funzionale possibile all'adattamento alla vita sociale e relazionale, e mitigando i sintomi.

niky ha detto...

Il termine "psicosi" fu introdotto nel 1845 da Von Feuchtersleben con il significato di "malattia mentale o follia". È un grave disturbo psichiatrico, espressione di una grave alterazione dell'equilibrio psichico dell'individuo, con compromissione dell'esame di realtà, inquadrabile da diversi punti di vista a seconda della lettura psichiatrica di partenza e quindi del modello di riferimento. I sintomi psicotici sono ascrivibili a disturbi di forma del pensiero, disturbi di contenuto del pensiero e disturbi della sensopercezione.

Disturbi di forma del pensiero: alterazioni del flusso ideatico fino alla fuga delle idee e all'incoerenza, alterazioni dei nessi associativi come la tangenzialità, le risposte di traverso, i salti di palo in frasca;

Disturbi di contenuto del pensiero: ideazione prevalente delirante;

Disturbi della sensopercezione: allucinazioni uditive (a carattere imperativo, commentante, denigratorio o teleologico), visive, olfattive, tattili, cenestesiche, geusiche.

Tali sintomi possono presentarsi in diverse condizioni: - in corso di disturbi mentali organici secondari a malattie internistiche o neurologiche (Lupus Eritematoso Sistemico, endocrinopatie, uremia, porfiria, Sindrome di Wilson, corea di Huntington, lesioni del lobo temporale e parietale, epilessia, abuso di sostanze come alcool, amfetamina, cocaina, cannabis e allucinogeni); - in corso di disturbi cognitivi correlati alla demenza; - in corso di disturbi dell'umore; - in corso di quadri schizofrenici; - in corso di quadri schizoaffettivi; - psicosi acute: schizofreniformi, reattive brevi, cicloidi,puerperali, ecc.; - in corso di disturbi deliranti (di tipo paranoide); - in corso di disturbi di personalità.

Le psicosi hanno un'incidenza tra i 15 e i 54 anni di 1,5-4,2/100.000. Variano per gravità e prognosi in base alle caratteristiche del disturbo e in base alle caratteristiche dell'ambiente in cui vive la persona. Gli studi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'International Pilot Study of Schizophrenia e il Collaborative Study on Determainants of Outcome of Severe Mental Disorders (WHO, 1973; WHO, 1979; Jablensky e coll., 1992; Leff e coll., 1992), condotti su 1400 individui osservati in un tempo superiore ai 20 anni, mostrano che la schizofrenia è ubiquitaria e che i contesti sociali diversi determinano esiti sociali diversi.

Non sono risultate aree geografiche con incidenza particolarmente alta per disturbi psicotici. Una prognosi decisamente migliore si è evidenziata per i soggetti appartenenti ai paesi in via di sviluppo. È risultato inoltre che i quadri clinici che si manifestano in maniera acuta presentano una evoluzione migliore di quelli con esordio insidioso e progressivo. Tuttavia la tendenza ad un esito migliore nei paesi in via di sviluppo è comunque stata riscontrata sia per i quadri clinici a esordio acuto, sia per quelli a esordio progressivo.

L'eziologia del disturbo è, come per molte condizioni in medicina, molteplice e in larga parte ignota. Da un punto di vista psicobiologico, la sintomatologia psicotica trova una possibile causa in alterazioni organiche a vari livelli, da una predisposizione genetica, all'alterato funzionamento di neurotrasmettitori quali la dopamina, la serotonina, il Glutammato, il GABA, l'NMDA, i peptidi endogeni e altri ancora. Da un punto di vista fenomenologico, Karl Jaspers parla di esperienze psicotiche quando vengono vissute come incomprensibili per il soggetto per le modalità con le quali scaturiscono dall'attività psichica, facendo declinare le condizioni ontologiche dell'esistenza (tempo, spazio, coesistenza, progettualità). Secondo Otto Kernberg la psicosi si distingue dalla nevrosi per la "diffusione dell'identità" e la messa in atto di meccanismi di difesa primitivi (idealizzazione primitiva, identificazione proiettiva, negazione, onnipotenza, svalutazione) che proteggono l'individuo dalla disintegrazione e dalla fusione di sé con l'oggetto, con regressione di fronte all'interpretazione. Un'altro elemento distintivo è quello della perdita della percezione della realtà.Infatti, al contrario della nevrosi, lo psicotico non accetta la realtà che lo circonda,e ne crea una diversa nella sua mente. La psicoanalisi interpreta le psicosi con una rottura dell'Io con la realtà esterna, dovuta alla pressione dell'Es sull'Io. L'Io cede all'Es per poi recuperare parzialmente la costruzione di una propria realtà attraverso il delirio, recuperando il rapporto oggettuale (Freud). Secondo Melanie Klein, le psicosi sono legate alla caduta nella posizione schizoparanoide della prima infanzia. Secondo lo psicologo Carl Gustav Jung, nelle psicosi si ha il sopravvento di complessi autonomi inconsci sul complesso dell'Io, che non riesce a mantenere il controllo sulle formazioni inconsce. L'indirizzo sociale della psichiatria esprime anche un'interpretazione legata al contesto che, come si è visto, risulta determinante per l'integrazione di queste persone e la loro riabilitazione.

niky ha detto...

La schizofrenia è una forma di malattia psichiatrica caratterizzata da un decorso superiore ai sei mesi (spesso cronica), e dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell'emozione, di gravità tale da limitare le normali attività della persona. Il termine deriva dal greco σχίζω (schizo, scissione) e φρενός (phrenos, cervello). È da tenere presente che schizofrenia è un termine piuttosto generico che indica una classe di disturbi, tutti caratterizzati da una certa gravità e dalla compromissione del cosiddetto "esame di realtà" da parte del soggetto. Nella maggioranza dei casi vi è anche una apparente disorganizzazione o incoerenza del pensiero. A questa classe appartengono quadri sintomatici e tipi di personalità anche molto diversi fra loro, estremamente variabili per gravità e decorso.

Adesso non sentitevi tutte le malattie addosso;)



La depressione è una sindrome caratterizzata da un insieme di sintomi psichici e fisici persistenti nel tempo, consistente principalmente in una diminuzione da lieve a grave del tono dell'umore, talvolta associata ad ideazioni di tipo suicida od autolesionista. A questa sintomatologia principale possono accompagnarsi deficit dell'attenzione e della concentrazione, insonnia, disturbi alimentari, estrema ed immotivata prostrazione fisica.

Può essere di tipo unipolare, quando l'umore si mantiene basso e sono presenti rallentamento psicomotorio ed alterazioni del ciclo sonno/veglia mentre la melanconia è prevalente nelle prime ore del mattino; di tipo maniaco-depressivo, altrimenti nota come sindrome bipolare, di tipo nevrotico o di tipo reattivo, detta anche "reazione depressiva", comune reazione umana a fattori di stress o shock emotivi.



La psicosi maniaco-depressiva o disturbo bipolare è una patologia caratterizzata da periodi di depressione alternati a periodi di esaltazione.
È una malattia endogena, solitamente a carattere ereditario, non è perciò scatenata né da lesioni cerebrali, né da eventi esterni. La manifestazione primaria è un'alterazione dell'affettività. I momenti di depressione dell'umore (melanconia) si alternano a momenti di esaltazione dell'umore (mania), nel caso tipo il ritmo di alternanza è regolare, nei restanti periodi si manifesta una completa normalità.

La malattia è statisticamente più frequente nella donna che nell'uomo, con un rapporto di 3 a 2.

niky ha detto...

La musicoterapia è una disciplina di medicina alternativa che utilizza la musica (forma di comunicazione non-verbale) come strumento per intervenire sul disagio di persone malate o affette da handicap, agendo soprattutto a livello psicosomatico.

Sin dall'antichità si hanno notizie sull'utilizzo della musica per fini terapeutici, oggi le conoscenze in quest'ambito sono sicuramente maggiori e i musicoterapeuti sono ormai figure professionali con alle spalle un'ampia e approfondita preparazione. Infatti elemento fondamentale è il rapporto che si stabilisce tra paziente e musicoterapeuta, dove il linguaggio per comunicare è dunque quello della "musica", dove per "musica" s'intende l'intero mondo del suono e cioè: suono e ritmo, suono e movimento, e infine vocalità. Il concetto di musicoterapia come tale si sviluppa solo all'inizio del secolo scorso e seppure non sia ancora annoverata tra le tecniche mediche riconosciute ufficialmente dalla medicina tradizionale, essa diviene un supporto importante ed utilizzata per svariate tipologie di malattie, prevalentemente di origine nervosa.

I principi base della pratica musicoterapeutica sono:

il paziente è assolutamente parte attiva della terapia;
la centralità del rapporto di fiducia e l'accettazione incondizionata rispetto al paziente;
l'adattamento e la personalizzazione della tecnica volta per volta;
scambio reciproco di proposte tra paziente e musicoterapeuta.
La musica dà alla persona malata la possibilità di esprimere e percepire le proprie emozioni, di mostrare o comunicare i propri sentimenti o stati d'animo attraverso il linguaggio non- verbale.

Tipico è il caso degli individui affetti da autismo, cioè individui che sono in una condizione patologica della personalità, per cui tendono a rinchiudersi in se stessi rifiutando ogni comunicazione con l'esterno. La musica dunque permette al mondo esterno di entrare nella mente del malato, favorendo l'inizio di un processo di apertura.

La Musicoterapia si divide in tre rami principali:

la Musicoterapia recettiva
la Musicoterapia attiva
la Musicoterapia integrata
Nella Musicoterapia recettiva al paziente viene fatta ascoltare musica registrata o eseguita dal vivo dal terapeuta.

La Musicoterapia attiva si basa invece sull'applicazioni di tecniche che prevedono una partecipazione creativa sia dell'utente che dell'operatore. Tra le tecniche maggiormente usate ci sono:

l'improvvisazione musicale
il dialogo sonoro
la composizione di canzoni (songwriting)
il movimento sulla musica
il canto e la vocalizzazione

Il paziente diventa soggetto attivo, partner musicale (per questo non è necessario che il paziente abbia avuto alcuna formazione musicale precedente). Questo tipo di musicoterapia è riuscita a volte ad attenuare blocchi neurologici seri.

La musicoterapia integrata utilizza elementi della musicoterapia attiva, elementi delle musicoterapia passiva e elementi di altre metodologie e discipline (ad esempio training autogeno, fantasia guidata, tecniche di visualizzazione, yoga)

La musicoterapia viene utilizzata anche con finalità preventiva.

Fruttuoso in italia il contributo del progetto anziani musicoterapia sulla ricerca e applicazione della musicoterapia con Anziani e malati di Alzheimer. Il gruppo tutt'ora attivo organizza ogni due anni un convegno nazionale di raccolta dati ed esperienze provenenti da ogni parte d'Italia. Significativi i due portali di riferimento www.pamonline.it (più legato alla associazione), www.musicoterapia-anziani.eu più legato alla documentazione (anche in lingua inglese) e alla ricerca. Il Pam è il primo gruppo di ricerca su questo tema in Europa. Sul sito www.musicoterapia-anziani.eu continui aggiornamenti sulla situazione esperienziale italiana della musicoterapia con anziani

niky ha detto...

Nevrosi è un termine coniato da Sigmund Freud per indicare un tipo di psico-patologia che scaturisce da un conflitto inconscio.

La nevrosi si contraddistingue dagli altri disturbi della personalità in quanto il paziente non perde il contatto con la realtà e può comunque condurre una vita relativamente normale.

Le nevrosi hanno prevalentemente una matrice isterica che porta a seconda della sfumatura presa in ogni singolo paziente (a causa del vissuto personale) a diverse caratteristiche nevrotiche quali :

fobia - ossessione - paranoia - isteria d'angoscia - e altre

Ogni nevrosi, secondo la teoria freudiana, ha alla base un conflitto irrisolto riguardante la sfera sessuale.

Un esempio cinematografico lampante lo ritroviamo nel film "Luci della ribalta" Di Charles Chaplin, dove la ballerina Terry perde l'uso delle gambe, non per poliomielite ma per una nevrosi che affondava le radici nel suo passato.

Possiamo banalizzare paragonando l'inconscio all'istinto primitivo o primordiale che ci mette sullo stesso piano di forme di vita meno intelligenti, nelle quali a differenza di noi l'inconscio-istinto non ha freni nè inibizioni, e non incontra quindi ostacolo alcuno che giustifichi l'insorgere di una nevrosi.

Nell'essere umano moderno la nevrosi insorge ora molto più che in passato a causa delle grandi rivoluzioni di costume, anche sessuale, che portano al conflitto tra il "seguire il proprio istinto" "razionalizzarlo" "ignorarlo" a favore di un codice esterno che in fondo non ci appartiene.

niky ha detto...

La parola fobia, in psicologia e psichiatria, indica una paura inaccettabile.

L'individuo che la prova non può fare a meno di essere terrorizzato sebbene il suo insight sia sufficientemente buono da rendersi conto dell'irrazionalità e della sproporzionalità di questo sentimento, che permane per un determinato periodo di tempo e determina un disadattamento del soggetto al suo ambiente.

I tipi di fobia sono l'agorafobia (Paura degli spazi aperti), la fobia sociale (che spesso si manifesta con ansia anticipatoria) e la fobia specifica fra cui si citano:l'aracnofobia (Paura dei ragni), la claustrofobia (Paura dei luoghi chiusi), etc.

In generale le cause delle fobie si riteneva fossero imputabili a elementi rimossi (vedi psicoanalisi) che manifestano il loro effetto portando l'individuo ad evitare una certa situazione che attraverso un fenomeno di spostamento può essere ricondotta ad un evento traumatico avvenuto sia durante l'infanzia che l'età adulta.

Attualmente, la più moderna psicoterapia cognitivo comportamentale sostiene che il disturbo derivi da un cattivo apprendimento che può avvenire per condizionamento classico (teoria del Preparedness di Selingman) o per apprendimento sociale (Bandura).

Il disturbo si viene poi a mantenere per condizionamento operante tramite l'evitamento, dove, il rinforzo negativo è rappresentato dalla sensazione di diminuzione dell'ansia per effetto dell'allontanamento dalla situazione fobica.

Un altro tipo di fobia è la fobia scolare. La forma più grave, in genere, si manifesta quando il bambino è ancora piuttosto piccolo e si configura con il rifiuto di andare a scuola, fino all'incapacità di abbandonare/staccarsi dai propri genitori anche per brevi periodi. Questa fobia è da ricondurre ad alcune tipologie di relazioni problematiche all'interno dalla famiglia. Raramente si può ricondurre a veri problemi scolastici.

La maggior parte degli autori insistono sulla necessità di distinguere l'ansia da separazione da quest'ultima appena trattata, dove il disturbo predominante consiste nel lasciare le figure genitoriali anche durante le attività ludiche.

Fobia scolare Quando è presente fobia scolare il bambino si lascia prendere da forti crisi di ansia al momento dell’ingresso a scuola, chi vive con profonda angoscia anche il solo pensiero di distaccarsi dai genitori e, di fronte a questi bambini, spesso non sappiamo che pesci prendere. Sono quasi sempre bambini che non hanno difficoltà di apprendimento; a scuola se la cavano bene, hanno instaurato una relazione sufficientemente significativa sia con gli insegnanti che con i compagni e tutto sembra filare liscio fino a che … Ogni certezza sembra crollare. In alcuni casi la fobia si presenta con gradualità, in altri, invece, inizia in modo brusco, all’improvviso. Può presentarsi all’inizio dell’anno scolastico, ma anche in periodi successivi, magari dopo una vacanza, o una malattia o in seguito a un episodio particolare. In queste situazioni il bambino esprime angoscia intensa; a mano a mano che il momento della separazione si avvicina, il disagio si fa più acuto; egli è in preda a una forte agitazione, piange, si dispera, supplica i genitori, promette che il giorno dopo non farà storie, tiene stretti la mamma o il papà con una morsa così forte che non si riesce a sciogliere. Di fronte a tentativi di costrizione la situazione si aggrava ancor di più; può capitare, infatti, che il bambino entri in classe, ma l’angoscia è così presente che egli può scappare via oppure può raggiungere uno stato di agitazione così forte da sfociare in condotte aggressive e autoaggressive. Una volta a casa il bambino riacquista il proprio equilibrio, partecipa alla vita familiare, è collaborativo e si spreca in solenni giuramenti e promesse: “Ti prometto che domani andrò a scuola senza problemi”; “Ti prometto che non farò più storie”. Il bambino, quando è nel nucleo familiare, tenta di rispondere ai mille perché dei genitori e si sforza di razionalizzare la propria fobia attribuendola a fatti avvenuti a scuola o a atteggiamenti dei docenti e dei compagni. Con l’andar del tempo l’angoscia acquista una dimensione più realistica; il bambino teme di non essere più al passo con il programma, poiché ha perso vari giorni di scuola e offre a se stesso e agli altri questa giustificazione, sebbene a casa studi, dedichi tempo ai compiti, spesso più del dovuto, al punto che la sua preparazione è senz’altro buona. In alcuni casi la fobia scolare è accompagnata da altre manifestazioni: difficoltà nel mantenere il ritmo sonno – veglia, presenza di incubi, ansia da separazione anche in relazione ad altre esperienze, (ad esempio, si può evidenziare lo stesso problema anche rispetto allo sport, all’andare a casa di amici, ecc..). Possono inoltre essere presenti comportamenti di tipo ossessivo legati a tematiche scolastiche, come riordinare ripetutamente libri e quaderni, preparare lo zaino con estrema precisione, ricontrollare se tutto e a posto, ecc… Talvolta si incontrano modalità di relazione ambivalenti con i familiari, principalmente con la madre, per cui si assiste ad una alternanza di atteggiamenti eccessivamente affettuosi e prevaricatori. In altre situazioni alla fobia scolare si associano un forte calo di umore, chiusura, senso di tristezza che caratterizzano uno stato di tipo depressivo.

Ecco, in sintesi, in che modo si presenta la fobia scolare:

Il bambino esprime angoscia intensa
Il disagio si fa più acuto a mano a mano che il momento della separazione si avvicina
Il bambino è in preda a una forte agitazione, piange, si dispera, supplica i genitori
Tiene stretti la mamma o il papà con una morsa così forte che non si riesce a sciogliere
Di fronte a tentativi di costrizione la situazione si aggrava ancor di più
Può capitare che il bambino entri in classe, ma l’angoscia è così presente che egli può scappare via Oppure può raggiungere uno stato di agitazione così forte da sfociare in condotte aggressive e auto – aggressive
E in famiglia che cosa accade?

Una volta a casa il bambino riacquista il proprio equilibrio
partecipa alla vita familiare
E’ collaborativo
Fa solenni giuramenti e promesse
tenta di rispondere ai mille perché dei genitori
Si sforza di razionalizzare la propria fobia attribuendola a fatti avvenuti a scuola o a atteggiamenti dei docenti e dei compagni
Con l’andar del tempo l’angoscia acquista una dimensione più realistica
Subentra il timore di non essere al passo con il programma
Questo timore diviene la nuova giustificazione delle successive assenze
A casa studia, dedica tempo ai compiti, spesso più del dovuto
Ciò che prova il bambino:

Desiderio di rimanere piccolo
Mancanza di sicurezza affettiva
Minaccia al legame
Paura di perdere l’affetto
Terrore inconsapevole del distacco /desiderio di affrontare nuove esperienze
Bisogno di tenere tutto sotto controllo
Ostacoli al superamento della fobia scolare:

Fretta della famiglia
Fretta della scuola
Ostilità scuola – famiglia
Le risposte degli esperti

Importanza della fase di approfondimento
Ricerca delle cause associate
Quale messaggio può lanciare all’ambiente?
Che cosa copre il suo sintomo?
I percorsi di aiuto

Il lavoro individuale con il bambino
Il lavoro con tutta la famiglia
L’aiuto alla costruzione del legame
L’aiuto alla scuola perché rappresenti per il bambino un luogo accogliente e significativo
L’aiuto ai genitori, affinché possano comprendere e perché non si lascino riempire dalla fobia del bambino

Pietro ha detto...

Grazie Niky! :-)

niky ha detto...

Non mi meraviglierei se pochi leggessero questi commenti a latere. Sono veramente lunghi e pallosi anche se obiettivamente interessanti come lo sono le materie cui appartengono. Attenzione a non riconoscersi troppo nelle varie patologie; esistono tratti del carattere che possono assomigliare loro pur non essendo patologici. Per es. tratto depressivo, nevrotico oppure ciclotimico etc.